giovedì 20 agosto 2015

Intervista a Giorgio Antonucci da Radio Cooperativa Mortise/Padova

Conversazione con Giorgio Antonucci, con interventi, radiotrasmessa da Radio Cooperativa Mortise - Padova

 

 

 

 

 

 

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Scritto da Esteban, Lunedì, 04 Luglio 2005 - 15:55 Conversazione con Giorgio Antonucci, con interventi, radiotrasmessa in diretta da Radio Cooperativa (Mortise, Padova) il 1 settembre 2001 (testo trascritto dalla diretta radiofonica)

OSPITI: Giorgio Antonucci, Sergio Martella, Massimo Panzera

Conduce Emilio Nasuti


-    E.N. Finalmente è con noi il dott. Giorgio Antonucci, un ospite speciale che aspettavamo da tempo, e insieme ad Antonucci sono presenti Massimo Panzera, come ospite fisso per tutti questi due anni, Sergio Martella e Francesco. La trasmissione ha come scopo quello di fare opera di informazione rispetto alle problematiche del disagio, disagio mentale. Fare sensibilizzazione intorno alle tematiche del disagio mentale e disagio sociale. Giorgio Antonucci ha pubblicato numerosi articoli su riviste come Ombre Rosse, il Ponte, Collettivo R e altre. Numerosi sono anche i suoi scritti. Quindi iniziamo la trasmissione, io darei la parola a Massimo poi a Sergio e poi, se ci sarà spazio, daremo voce anche agli altri ospiti che sono qua e soprattutto a voi ascoltatori. Quindi buon ascolto a tutti. Ora darei la parola al dottore. 

  
-    G.A.: Devo innanzitutto specificare che l’ultima legge non è la legge Basaglia come dicono tutti, devo specificarlo perché Basaglia non la voleva nemmeno, perché non ne era affatto soddisfatto e poi pensava che non era con una legge che si possano cambiare le cose, ma con un modo diverso di lavorare. E infatti questa legge è servita a poco. Però direi che se si va, ora, in una clinica psichiatrica, sembra che non sia accaduto nulla, e anche se si va in una università. Le cliniche psichiatriche sono chiuse, sono come camicie di forza, a volte si fanno elettroschock a volte no, si usano psicofarmaci fino al decadimento fisico della persona,

le persone non sono ascoltate neanche su uno dei loro problemi, per cui io ho veduto le cliniche psichiatriche prima di questo periodo, all’inizio del mio lavoro e vedo che ora non c’è nessuna differenza.  Questo non significa che non sia cambiato qualcosa. La cultura è cambiata, non è più così facile come prima considerare una persona da internare, ci si pensa di più, mentre prima non ci si pensava affatto. Abbiamo messo un dubbio nella cultura però non abbiamo cambiato niente, tolto le iniziative eccezionali che io potrei anche non conoscere; ma per quelle che conosco non è cambiato niente. All’estero, negli Stati Uniti, in Germania, in Inghilterra, ci sono iniziative culturali, dibattiti, ma le cliniche psichiatriche, i manicomi sono precisi a come erano una volta. 
   
-    S.M: Per cliniche psichiatriche lei intende quelle private, perché adesso di pubbliche ne sono rimaste poche, in Italia.
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-    G.A.: Io prendo in considerazione la distinzione tra cliniche private e pubbliche, però il problema mi interessa poco perché sia le cliniche private sia le cliniche pubbliche sono strutture strettamente psichiatriche e vi fanno le stesse cose. Certamente come è sempre accaduto, nelle cliniche private in cui ci sono persone con maggiori mezzi, possono essere in parte protette da questi trattamenti della psichiatria. Ma i trattamenti sono gli stessi. Se uno entra in una qualsiasi clinica privata o pubblica, trova quelle cose di cui ho parlato prima. Si prende una persona, si strappa dal suo ambiente, si pensa che sia una macchina da accomodare e questo è il pregiudizio fondamentale: noi siamo una macchina che si guasta, se io non torno bene con le convinzioni sociali, secondo tutto il discorso psichiatrico, sono guasto e vado riparato. Non si considera il problema dal punto di vista della società che ha convinzioni rigide e degli individui che naturalmente non tutti e non sempre si adeguano totalmente a queste convenzioni. Io dico per fortuna. Gli psichiatri però non sono d’accordo e ogni qualvolta una persona che è senza potere e non rientra nelle convenzioni rischia il trattamento psichiatrico. La quale cosa è gravissima perché, anche senza l’internamento in clinica psichiatrica, (io questo lo posso dire anche con l’esperienza degli ultimi anni o di questi giorni), se una persona va in trattamento psichiatrico, da quel momento lì non è più la stessa, non è un cittadino come gli altri. Io ho avuto di recente uno scontro con un mio amico carissimo. Uno scontro durissimo. Lui ha adottato una ragazza di 18 anni. E’ stata adottata perché le è morta la madre improvvisamente poco tempo fa, andava molto bene a scuola, era appassionata per la scuola, ma a causa della perdita della madre e del cambiamento di famiglia, si è trovata male. Dopo una serie di vicende questa ragazza si sta ribellando. Siccome questa ragazza ha dei soldi propri in banca, che si è messa a spendere, il mio amico mi ha chiesto di inabilitarla. Ho risposto: ma proprio a me lo vieni a chiedere io che sono stato processato perché ho restituito i diritti civili e politici agli internati in manicomio e tu vuoi farmi complice dell’inabilitazione di una persona di 18 anni? Questo mio amico non capisce più questa ragazza, non lo sta a sentire, ormai è passata per pazza. La ragazza non è mai neanche stata dallo psichiatra, però avendo un comportamento che non è quello di prima (ma che ha delle motivazioni), questo basta perché si incominci a considerare quella persona come una persona che non è più responsabile, che non è più capace, che non è più all’altezza. A questo punto inizia una storia da cui è difficilissimo se non impossibile tornare indietro.
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-    S.M.: Penso che questo sia un caso esemplare per capire cosa è cambiato nel panorama psichiatrico in Italia. Si era cominciato con una considerazione di base che diceva che il disagio altro non è che una delle tante forme del cambiamento anche nell’ambito sociale e una delle cose in cui possiamo incappare nella nostra vita, ciascuno di noi. Quindi un po’di rispetto perché le forme di cambiamento possono essere varie e possono anche attraversare il disagio. Ma d’altra parte c’è invece una cultura monolita del controllo cioè dell’omogeneità a tutti i costi, che considera il cambiamento come uno dei nemici peggiori, quindi è l’altro, il diverso che va segregato e quando non glielo si permette lo si psichiatrizza. L’altro, il diverso per antonomasia è proprio il giovane e non solo. Non ci sono più i lager che io ho visto a Trieste, sono andato lì nel 77.
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-    G.A.: No, sul resto posso essere d’accordo, ma ci sono e si può andare a vedere delle cliniche psichiatriche che sono esattamente quelle che erano prima. Si può andare nelle università e nei reparti delle cliniche psichiatriche universitarie.
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-    S.M.: I materassi intrisi di piscio di orina, che abbiamo visto dalla Sicilia a Trieste?
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-    G.A.: Però a questo proposito penso che in molti di quei istituti ora non dovrebbe più arrivare nessuno. Io li ho visti e le condizioni sono queste. Negli ex manicomi, che sono tanti, le condizioni sono identiche a quelle di una volta. Io ho precisato che qualcosa è cambiato, noi ci siamo, ma nelle strutture psichiatriche si continua a fare le stesse cose. R. Cestari ultimamente ha fatto un giro nelle cliniche, lo si è visto anche in televisione, lui si occupa del Comitato dei Cittadini dei Diritti dell’Uomo, e ha trovato condizioni simili a quelle antiche, cioè persone rinchiuse nude senza nessun rispetto per loro, senza gabinetti senza le cose che servono per un essere umano. Ed è la situazione che ho trovato io ad Imola, nel 1973. Io vorrei approfondire il discorso sul disagio. Io sono pieno di disagio, ho una serie di problemi psicologici però appunto nessuno viene da me a prendermi e a portarmi in clinica psichiatrica, perché io ho il potere di tenere lontano tutti gli psichiatri, anche perché lo farebbero volentieri. Il problema non è il disagio. Il disagio vuol dire sofferenza, la sofferenza è fisiologica e gli uomini la vivono in ogni loro esperienza come vivono la gioia. Tutte le esperienze hanno un aspetto terribile che ci tormenta. Il problema è che ci sono persone che sono indifese, per esempio se io sono tristissimo e penso di morire perché penso che la mia vita non ha più significato, se io non lo dico a nessuno e lo tengo per me, poi un giorno lo farò o non lo farò e se lo faccio lo faccio bene e nessuno mi prende, nessuno si preoccupa se io sono felice o meno, ma se mi faccio dei tagli sulle braccia o alle vene mi mettono in clinica psichiatrica. Allora non è il disagio che interessa, è il fatto che si fa qualcosa che non rientra nei costumi. Siccome il tentativo di suicidio non è più reato adesso, il tentativo di suicidio è malattia di mente. Allora il problema è che quando c’è qualche pensiero o comportamento che si ritiene che non corrisponde ai costumi, si interviene. Ma del disagio gli psichiatri se ne infischiano altamente. Infatti il disagio aumenta dopo l’intervento psichiatrico, perché se io mi taglio le vene, mi prendono con la forza mi portano in clinica psichiatrica, il mio disagio raddoppia, triplica.
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-    S.M.: Quindi chi ha la capacità di difendersi può avere un trattamento diverso.
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-    G.A. Si, ma chi ha il potere.
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-    S.M.: Mi diceva un ragazzo che ha avuto un lungo iter nei servizi psichiatrici di Padova, dove si fa molto trattamento farmacologico, quindi organico, e poco spazio viene dedicato al disagio affettivo, diciamo così.; egli diceva che il mondo secondo lui si divide in due categorie (secondo le classiche generazioni): c’è chi si ammala e chi fa ammalare. Nel senso che a casa sua non sono sintomatici, ma sono proprio pazzi. Però chi sta male è lui. Allora ci sono persone che non sono sintomatiche, cioè hanno un disagio, un livello di angoscia di ansia e hanno la capacità di avere, o per struttura narcisistica o per tenuta, un senso in cui il loro disagio si fa sistema. Mentre tutto ciò che crea loro ansia o che può creare ansia può diventare l’oggetto su cui scaricare preventivamente e proiettivamente la loro tensione.
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-    G.A.: Io però facevo un altro discorso. Io dicevo che il giudizio psichiatrico è un giudizio che non ha nessun rapporto con la psicologia della persona. E’ un giudizio sul rapporto che ha la persona con le convinzioni sociali. Antonin Artaud non aveva nessun disagio, cioè l’aveva, voglio dire che era un poeta con la sua ricchezza di immaginazione, però il disagio lo avevano gli altri, perché lui era un tipo originale e lo psichiatra lo ha preso e gli ha fatto l’elettroschock. Lo psichiatra che gli ha fatto l’elettroschock avrà avuto tanti disagi anche lui, però non era entrato in conflitto con le convenzioni sociali. Il problema della psichiatria è che la diagnosi si dà quando c’è un problema sociale.
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-    S.M.: In Micro Mega del 2000 c’è un articolo del Dr. Cancrini, in cui Cancrini si pone il problema, il compito di criticare l’unico caso in Italia, la santificazione e in specifico quella di Padre Pio, con le sue stigmate e la sua ostensione come modello sociale per la cultura popolare e ha pensato bene di dire, su Micro Mega, che a Padre Pio si potrebbe, con i canoni tradizionali, utilizzando i suoi scritti autobiografici, si potrebbe pervenire ad una diagnosi psichiatrica, come si fa normalmente per tutti gli altri. Il risultato è piuttosto bizzarro.
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-    G.A.: Si, voglio dire che questo discorso non è per nulla originale. Perché c’è un discorso precedente, ormai storico, che è ancora più interessante. Alfred Binet grande psichiatra parigino, insegnante alla Sorbonne, ha scritto una serie di volumi sulla pazzia di Gesù. Tra l’altro, siccome Gesù aveva la fortuna, nonostante tutto, di vivere quando gli psichiatri non c’erano, ha recuperato le esperienze di Gesù facendo anche lo psicoanalista, perché leggeva Freud. Binet ha inventato i test psicologici che sono un disastro e servono a fare disastri. Egli ha scritto 4 volumi sulla pazzia di Gesù e dice che Gesù ha mania religiosa, poi aveva la mania di andare in giro, era un nomade, e poi non è che andasse molto d’accordo con la Madonna, probabilmente perché non sapeva chi era suo padre, San Giuseppe o il Padre Eterno. Considerata così la cosa, io la prendo da un punto di vista ironico, ma queste cose le ha dette lui. Allora cosa significa questo? Che uno psichiatra si permette di dare un giudizio sul pensiero degli altri a modo suo come gli pare a lui. Binet non era sicuramente religioso, se non avrebbe scritto sulla pazzia di Cristo, infatti poi il dottor Albert Schweitzer ha dovuto scrivere un libro per difendere Cristo dall’accusa di pazzia. Allora il discorso qual è? Che il discorso di pazzia si dà sempre a quelli che la pensano diversamente, poi si dà il giudizio quando il discorso non lo si vuole affrontare diversamente. La psichiatria non è una conoscenza perché può dire tutto e il contrario di tutto e non solo su persone diverse ma anche sulla stessa persona. L’esempio chiaro è il tribunale: quando c’è la discussione il giudice può sentire i periti. Il perito psichiatra del pubblico ministero ha interesse a far passare l’imputato per sano di mente, perché il P.M. vuole la condanna. Il perito psichiatra dell’avvocato difensore che ha interesse di far passar l’imputato per malato di mente, per evitare la condanna. Sbaglia anche l’avvocato difensore. Comunque due psichiatri per la stessa persona per lo stesso reato, danno due giudizi completamente opposti. Questo significa che la psichiatria non è credibile, non ha nessun significato, però purtroppo , con questi giudizi arbitrari si va a finire in manicomio o in clinica psichiatrica. Passo ad un altro argomento. Quando ero a Imola, il direttore sanitario Venturini andava dicendo in giro che io ero pazzo, ma non mi poteva rinchiudere. Il giudizio c’è anche in altri campi. Ad esempio ci sono psicoanalisti e psichiatri che dicono che Hitler era un pazzo, naturalmente non sono gli psichiatri di Hitler, quelli che gli sono andati dietro, che hanno fatto quello che lui diceva. Hitler era stato eletto, aveva dietro di sé milioni di persone, era stimato e seguito da persone come Heisenberg (uno dei più grandi scienziati del 20° secolo), e poi da Heidegger (uno dei più grandi filosofi del 20° secolo) da Furtwängler (che ha diretto l’orchestra fisarmonica di Berlino fino in fondo). Però chi dice che Hitler probabilmente era pazzo? Quelli che non sono d’accordo con Hitler. Anch’io non sono d’accordo con Hitler, naturalmente, ma dico che aveva un modo di pensare politico che io non condivido e che era un modo di pensare politico che io combatterei. Dicendo che Hitler era pazzo non si discute più. Se dico che Hitler era pazzo non si capisce più nulla del nazismo.
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-    S.M.: Mi sembra che Fromm, nelle sue analisi su Hitler, facesse riferimento alle vicende personali di Hitler, ma volevo dire che in più di una occasione lei ha affermato che anche la psicologia oltre alla psichiatria non ha valenza perché si basa su un metodo storicistico di valutazione della condizione umana, e quindi dei suoi problemi derivanti da un passato storico ben determinabile nel senso di causa-effetto. A questo punto se la psichiatria non è scienza, come abbiamo dimostrato, non lo è nemmeno la psicologia.
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-    G.A.: Ma basterebbe vedere il fatto che sullo stesso problema ci sono tante idee diverse. L’interpretazione psicoanalitica di Freud è diversa da quella di Jung, quella di Jung è diversa da quella di Fromm e poi c’era Reich. E poi ci sono tutte le scuole, i cognitivisti e gli altri. Gli psicoanalisti della scuola di Freud litigavano gli uni con gli altri e poi si davano di pazzo gli uni agli altri quando non andavano d’accordo. La psicologia si basa sulla psichiatria. La psicologia fa sempre la distinzione tra normale e anormale come fa la psichiatria, è un’ancella della psichiatria. Per cui uno studio dell’uomo deve essere fatto su altre basi.
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-    S.M.: Lo stesso Freud e anche Lacan dicevano che non ci devono essere maestri, ma ci devono esser creazioni, formazioni.
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-    G.A.: Questo può andare bene?
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-    S.M.: E infatti, però il fatto è che tutte le scienze sono soggettive. Il problema del come succede il forte disagio nel senso della distruttività umana, di questo ci si interroga. Allora non era Hitler, non poteva essere un uomo così potente, così grande, così assolutamente capace di condizionare una intera nazione, un intero periodo storico. E’ovvio, come dimostra Alice Miller, che rivede l’infanzia di Hitler e analizza la pedagogia nera e vede che la violenza sul bambino o la violenza della società o l’incapacità della società di emancipare gli individui e quindi trattiene la violenza, la crea e la genera, che produce un malessere così diffuso che allora Hitler diventa il legittimo rappresentante di questa follia, di questa folla di follia.
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-    G.A.: Questo discorso è molto discutibile per il fatto che dire che Hitler era così per il fatto che era stato picchiato da bambino, dire questo è una semplificazione, che fa uscire fuori dalla considerazione storica. L’antisemitismo, il conflitto tra popoli è una cosa antica e Hilter ha tutti questi aspetti che vanno considerati. Che poi lui da bambino fosse stato trattato più o meno bene questo è un problema, ma non può essere una spiegazione storica.
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-    S.M.: La tesi è che tutti i tedeschi e gran parte dell’Europa, cioè il disagio di una società che ancora non si è affacciata all’emancipazione dell’individuo crea una reazione di disagio di questa natura, e alcune pedagogie la favoriscono e ne fanno l’apologia.
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-    G.A.: Io direi che è una società fondata sulla violenza e sull’omicidio da Caino Abele fino ad ora.
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-    S.M.: Fino a Cristo, cioè morire per amore non è una grande pedagogia da insegnar ai bambini.
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-    G.A.: Lasciamo andare Cristo, facciamo una cosa per volta, non voglio fare confusione. Io dicevo che il problema riguarda la nostra specie e la nostra società. Se facciamo una considerazione di tutte le civiltà si vede che noi, nonostante le etiche cioè i principi morali, e nonostante i moralismi (etica e moralismo sono due cose diverse) continuiamo a vivere con violenze reciproche e in questo ci rientrano anche i bambini, nel senso che anche i bambini subiscono violenza. Però, il problema è che la storia degli uomini, probabilmente, non so da quando, ma diciamo dal neolitico in poi, è fatta di violenza, non pretendo di dire una verità. Questo naturalmente si riferisce a tutto questo. Io ad esempio, mi ricordo quando da bambino mi dicevano di essere buono, ma c’era la guerra e vedevo gli aeroplani che bombardavano la città e non capivo che nesso c’era tra l’insegnamento di mio padre e quello che stava succedendo. Allora cerchiamo di non restringere. Che i bambini quando vengono sottoposti a violenza, questo sia negativo, su questo non c’è discussione, però la violenza è un principio della nostra civiltà fino a prova contraria. Leggevo di Amerigo Vespucci che quando è arrivato in America ha incontrato delle popolazioni che erano diverse da noi e racconta in una bella lettera che queste popolazioni non hanno la proprietà, non hanno i confini eppure si ammazzavano lo stesso. Allora lui faceva dei ragionamenti, come quelli che spesso si fanno, che le proprietà i confini le gerarchie portano violenza. Giovanni da Verazzano invece sbarcò tranquillamente in un’isola e i cannibali lo presero lo fecero a pezzi e se lo mangiarono. Ecco questo per dire che le culture, anche quelle diverse da noi, sono fondate sulla violenza. Tutto questo merita una riflessione che deve essere ad ampio raggio, non che il bambino diventa violento perché è stato picchiato. No, la nostra cultura è stata fondata sulla violenza ed è tutta una catena.
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-    S.M.: E’ vero che la violenza è sempre esistita ma è anche vero che alcune cose la favoriscono in maniera estrema. Se io ad esempio educo mio figlio e gli dico devi stare attento alla fiamma del gas perché ti fa male, però per spiegare queste cose gli prendo la manina e gliela metto sul fuoco, l’incoerenza tra fine e mezzo, modo in cui gli spiego le cose farà capire a mio figlio che dovrà guardarsi da me e non dalla fiamma. Non posso dirgli che lo faccio a fin di bene.
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-    G.A.:  Certo
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-    S.M.: Per la stessa cosa io non posso educare mio figlio ad essere buono se gli dico che Gesù, il figlio, muore in croce per il bene dell’umanità. Mors tua, vita mea. Questa è una pedagogia nera, una pedagogia che crea il masochismo come forma di identificazione, il sadico in fondo è del genitore. E’ chiaro che i figli, che hanno un naturale disagio generazionale, hanno due possibilità: o sono santi e poveri cristi e quindi si fanno del male, si suicidano quando stanno male, oppure diventano demoni, diavoli e sono colpevolizzati come lo sono i disgraziati, teppisti. Non hanno una via di mezzo sulla quale esprimere in maniera creativa e socialmente accettabile il, forse naturale, disagio. Quindi anche questa pedagogia genera, fomenta, .dire che la morte santifica? Il credente ha diritto di esserlo, ma in quanto assunzione di una pratica, igiene distruttiva e che addirittura diseduca il figlio, lo fa nascere con la colpa, ecco qui dovremmo avere più coraggio per proporre un aspetto più umanamente evoluto. Non possiamo uccidere le menti dei bambini. La prossima settimana ci sarà un convegno ad Abano, con Andreoli e altri psichiatri insieme ad attori del teatro?
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-    G.A.: Però io voglio dire una cosa sola, la mente dei bambini non è un problema psichiatrico.
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-    E.N.: Tu dici : mettere al centro l’individuo e non la psichiatria e non le strutture. Cosa vuoi dire, in sostanza, perché noi, in trasmissione, da due anni, abbiamo detto sempre questo: Antonucci privilegia l’uomo con tutte le sue difficoltà e contraddizioni?
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-    G:A.: Ma prima di essere, ammesso che sia, un discorso filosofico, è un discorso molto pratico. Il discorso è che gli individui hanno, abbiamo tante possibilità di sentire, appassionarci, comportarsi, pensare sia nel bene che nel male, naturalmente. E queste possibilità devono essere giudicate non attraverso dei modelli, che non hanno nulla a che vedere con la nostra umanità. Io dico questo perché rovescio il discorso. Per la psichiatria l?individuo non conta niente nel senso che non viene preso neanche in considerazione. E? l?individuo che mi trovo davanti quando devo evitare un internamento, ed è l?individuo che mi trovo in camicia di forza e lo debbo slegare, aprirgli la porta e cercare, insieme a lui, di trovare?
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-    E.N.: E’ vero che la psichiatria non guarda all’individuo ma al controllo, però se è vero che la nostra è una società violenta, ogni rapporto umano è rapporto di potere: nel lavoro tra superiore e dipendente, in famiglia tra genitore e figlio, nella coppia tra maschio e femmina e nella malattia tra paziente e medico. Che speranza hanno i malati mentali, gli ultimi?
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-    G.A.: Per ora, hanno poca speranza, ma ne hanno poca anche gli altri. Io ho cercato di lavorare, in questi 30 anni perché le avessero. Di uscire fuori da queste condizioni che le è stata loro attribuita e che potessero vivere individuo per individuo la loro vita secondo le loro preferenze, il loro desideri, le loro passioni. Io sono d’accordo con l’interpretazione che nella nostra società prevale il potere, però non sono d’accordo che sia la spiegazione di tutto, se no non se ne potrebbe uscire. Io sono un appassionato di Machiavelli (continua ad essere attuale), che ha detto che le strutture di potere non sono fatte per fare il bene dei sudditi, ma sono lì solo per mantenere il potere e per proseguirlo. Io sono contro il potere, naturalmente, e credo che ci sia la possibilità di uscire fuori da questa situazione. Spero che ci sia, anche se dura. Per cui dire che il potere è tutto e in tutti i rapporti, vuol dire accettare le cose come sono.
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-    E.N.: No, in questo sistema?
-    G.A.: No. Il sistema è un altra macchina. Non c’è il sistema, ci sono milioni di uomini, alcuni in un modo, alcuni in un altro. Tra questi uomini c’è Gandhi, c’è Hitler, c’è Tolstoj, c’è Gesù, c’è il dottor Schweitzer, c’è Saddam Hussein, ci sono persone piene di slancio e di solidarietà e persone che sono egoiste. Non c’è un sistema. C’è una moltitudine di uomini.
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-    M.P.: Ma l’antipsichiatria degli anni 60 Laing, Cooper, non facevano una critica nei confronti della società, dicevano che è il sistema sociale violento, cioè la famiglia.
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-    G.A.: Io sono d’accordo con la critica alla società, ma dico che la società non è un sistema, nel senso che se ne fa un tutt’uno da cui non si può uscire, questo è un difetto. Cioè non è un difetto solo di Cooper e di Laing, era un difetto anche dei movimenti politici. Per esempio venivano da me che mi affaticavo a togliere camice di forza, le inferriate e i muri e mi dicevano: che cosa lo fai a fare tanto il sistema riassorbe tutto.
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-    S.M.: Credo che la società sia di per se stessa, in quanto concetto, un qualcosa in movimento.
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-    G.A.: In divenire certo, ma non è un sistema. Il sistema è qualcosa di determinato. La società è un mare con tante onde che può generare un’infinità di cose e nel futuro, per quello si spera nel futuro perché c’è questa immensità. Io adesso vedo la società come la vedeva Leone Tolstoj quando diceva che non è Napoleone che ha fatto la storia, ma la moltitudine.
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-    S.M.: Noi, io ed Emilio abbiamo fatto un parallelismo tra lei e Tolstoj, dicendo che magari Antonucci è riuscito a raggiungere un determinato successo, con lo smantellamento non solo del manicomio ma anche dei lungodegenti a Imola, è riuscito a guarire qualche persona, proprio per l’effetto della sua personalità, come Tolstoj, a suo tempo, ha portato avanti la cosiddetta anarchia pedagogica. Cioè a prescindere dalla sua personalità e dal suo carisma, il suo può essere posto come modello?
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-    G.A. Io non ho preso Tolstoj come modello, io ho preso il suo pensiero, Guerra e Pace, il pensiero di Tolstoj sulla società, un pensiero aperto. Il discorso del sistema è derivato da un meccanismo che è stato tremendo in questi anni perché ha fatto anche fallire la trasformazione della società. Il fatto che ci siano delle premesse e delle conseguenze necessarie questo non è vero. C’è l’imprevedibile.
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-    S.M.: L’esigenza dell’ascoltatore sono altre. Disagio mancanza d’agio. La vita che conduciamo, questa forte competitività che abbiamo, la ricerca dei beni di lusso e di consumo tutto questo quanto influenza nell’aumento del disagio? E’ stato detto che in Italia ci sono 10 milioni di persone che sono attraversate dalle problematiche psichiatriche.
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-    G:A.: Un mondo fondato soltanto sui valori della borsa, sulla competizione e accanto sul successo è un mondo micidiale, naturalmente. Le persone giovanili che siccome non hanno né soldi né successo stanno male. Il nostro mondo così com’è, è un mondo fatto di una lotta feroce di uni contro altri e poi di un insieme di ipocrisia. Naturalmente, costruisce una serie di sofferenze perché ci sono milioni di persone che devono assistere a queste competizioni senza farne parte e quelle che ne fanno parte sono alla ricerca di qualcosa di vuoto che poi stanno male anche loro.
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-    S.M.:La psichiatrizzazione della società.
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-    G.A.: La psichiatrizzazione della società dipende dal fatto che più ci sono psichiatri, più ci saranno milioni di persone... Si trasforma una persona che ha i suoi problemi in una persona che deve essere seguita dagli psichiatri e questo è la psichiatria che lo fa. E’ un danno gravissimo, bisogna stare attenti, ho già detto all’inizio che cadere sotto la psichiatria significa perdere la propria identità.
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-    M.P.: Nel 1904 il professor Bianchi, l’ideatore della legge sui manicomi e gli alienati, alla domanda perché aumentano i pazzi? rispose: “Il complicato meccanismo della vita odierna (1904), il lavoro per guadagnare sempre di più, l’accrescimento dei desideri e dei bisogni, la intensificazione della lotta per la vita richiedono impegno intellettivo superiore a quello di 30-50 anni fa, quindi aumenta il numero di quelli che non ce la fanno. D’altra parte le società forti, civili e intolleranti dello spettacolo della follia, che una volta conviveva spesso inavvertita nelle case, eliminano per intrinseco potere elettivo molti malati, che in società meno evolute convivevano con i sani.
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-    G.A.: Si, ma voglio dire che nella storia della psichiatria si trovano diversi che ogni tanto si rendono conto di queste cose e poi si contraddicono, questo riguarda anche Pinel.
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-    S.M.: Io vorrei, ora porre un altro problema, perché la domanda filosofica che l’uomo della strada si pone è: ma allora l’uomo è fondamentalmente cattivo? Io avevo trovato una specie di sintesi per cercare di spiegare. Secondo me l’uomo non è fondamentalmente cattivo ma è fondamentalmente buono in quanto nasce e si rifiuta di morire, allora non può che tendere verso un qualcosa che non sia la morte ed è la vita. Però lo stato di cattività, sia l’uomo che la bestia, sono buoni se vengono trattati con rispetto, amati e socializzati sufficientemente in modo che possano riprodursi. Sia uomini che bestie diventano cattivi se nascono in uno stato di cattività, vengono tenuti al guinzaglio, non vengono rispettati, vengono aggrediti e se non hanno la possibilità di riprodursi. Il padre in quanto altro diverso dall’identità della madre apre e fonda lo spazio sociale. E’ questa la differenza sessuale. Forse noi dovremmo imparare a prenderci la responsabilità di intervenire politicamente e socialmente, pedagogicamente in un modo da chiarire che cosa è la differenza sessuale, che cosa è l’educazione e il rispetto verso i figli, come si può amare, e come si può liberare.
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-    G.A.: Si, ripeto che quando si esce fuori dal modo di considerare psichiatrico si parla di problemi filosofici, ci possono essere molti punti di vista e molte discussioni, tutte però che sono staccate da questa falsificazione dell’uomo che è propria della psichiatria. A me è questo che mi interessa. Per quanto riguarda la situazione attuale c’è una contraddizione oggettiva: da una parte, specialmente la madre che è più vicina, (in generale, non voglio fare una regola), però i genitori vedono sorgere un nuovo individuo, con nuove possibilità, con un'altra personalità che non c’è mai stata, che inventa delle cose. Dall’altra ci sono i vicini, la scuola, l’autorità, che dicono che quel bambino deve comportarsi in un modo invece che in un altro. Ora poi succede che i bambini che piangono la notte che danno noia ai vicini sono sottoposti a psicofarmaci. Per cui il problema è che intuitivamente, (a volte non sempre), i genitori sentono qual è la novità, la nascita di un figlio, che è uno che non è mai esistito prima. Per fare un esempio illustre Leopoldo Mozart è riuscito a tirar su suo figlio, in mezzo a tante contraddizioni, senza soffocarne le qualità creative nonostante avesse d’intorno una repressione terribile. E’ stato in questo senso qui un padre eccellente, ma c’è qualcosa di più, perché si trattava tra l’altro il prorompere di una personalità unica. I genitori sono tra la novità di questi nuovi individui e le faccende sociali politiche e di ordine. Il fatto che ora un bambino che non sta attento a scuola e che non sta attento alla maestra e si distrae, viene considerato un malato di mente e sottoposto a psicofarmaci è una cosa gravissima primo perché il bambino viene distrutto nella sua spontaneità, secondo perché viene distrutto nel suo fisico.
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-    Io voglio raccontare di come la psichiatria ha preso di mira la scuola. Voglio raccontare un episodio. L’anno scorso un’associazione del Comitato Dei Cittadini per la Difesa dei Diritti dell’Uomo, mi ha portato una circolare del primario della psichiatria di Rovigo, dove figurava un corso per insegnanti per riconoscere vari disturbi mentali, citava i disturbi dell’adattamento, disturbo del comportamento alimentare e altri. Erano insegnanti della scuola superiore di Rovigo che con questo corso venivano preparati a riconoscere questi sintomi per intervenire insieme agli operatori del DSM (manuale diagnostico psichiatrico) sugli studenti.
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-    E.N.: Cioè i bambini che hanno l’argento vivo addosso.
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-    G.A.: Il bambino che ha l’argento vivo addosso è un bambino sano. Il bambino se incomincia ad essere calmo e sottomesso è segno che c’è qualcosa che non funziona, a livello fisico. Il bambino per crescere deve essere dinamico. Se anche gli insegnanti fossero meno noiosi, forse i bambini sarebbero più attenti. Dire che la disattenzione, la distrazione è una malattia, insomma che leggano Pinocchio, che è un capolavoro universale perché ha descritto com’è la psicologia infantile. E purtroppo ad un certo punto Pinocchio finisce di essere?. Quando diventa un bambino finisce di essere bambino e diventa un adulto.
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-    S.M.: Pinocchio è una favola nata dalla necessità di Collodi, a cui non andava bene l’educazione che veniva data ai bambini. Voleva far rinascere dal legno un bambino figlio di un falegname, poi ha messo altre metafore: l’orto degli Ulivi cioè il campo dei Miracoli, le monete d’oro cioè i 30 denari, il Gatto e la Volpe cioè i 2 ladroni, il Grillo Parlante cioè la sua coscienza che però rimane schiacciato con un martello. E quindi una metafora anche cristiana. Qualcosa che ha spaventato i bambini di tutte le generazioni.
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-    G.A.: Si ma Pinocchio è anche tante altre cose.
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-    S.M.: E’ interessante che questa favola sia diventata famosa in tutto il mondo, non perché sia bravo l’autore, non perché sia bella la favola, ma forse perché fa il calco in negativo del cristianesimo.
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-    G.A.: Si io rivendico il fatto che sia una bella favola e che sia stato bravo l’autore. E’ un capolavoro.
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-    S.M.: Si è un capolavoro ma ha un significato che stimola un’angoscia, una paura profonda e la soddisfa con una rivendicazione di libertà, di emancipazione. Anche se ha una morale un po’ passata … però diventa un bambino in carne ed ossa ed è lui che salva la famiglia. Non è la famiglia che salva il bambino, ma è il bambino che salva la famiglia.
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-    E.N.: Antonucci, tu conosci la realtà psichiatrica di Padova, la nostra città. Noi qui abbiamo quattro servizi psichiatrici, una clinica dell’università, abbiamo avuto negli ultimi trenta anni, credo 60-70 mila studenti di psicologia che hanno portato un contributo molto grosso con dibattiti e tavole rotonde. E solo da dieci anni su forti insistenze delle forze del volontariato in psichiatria ci sono state delle tiepide aperture. Nonostante questo grosso afflusso di esperienza, qua c’è ancora un muro. A differenza di come abbiamo fatto trenta anni fa quando abbiamo fatto l’esperienza di Trieste come volontari, eravamo studenti di psicologia io e Massimo, e là abbiamo dato anche noi una grossa mano a rompere quel muro. Invece a Padova nonostante questo, ci sono grosse difficoltà, perché chi dirige la psichiatria padovana fa capo alla clinica psichiatrica dell’università e c’è una chiusura totale. Qua a Padova avremmo grosse potenzialità ma c’è ancora una psichiatria all’anno zero rispetto alle altre città.
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-    G.A.: Non so rispetto a quali città. Tu ti riferisci a qualcosa che è successo nel passato (Perugia, Trieste, Reggio Emilia).
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-    S.M.: Questa città fa difficoltà ad aprirsi su tutti i campi. Per una dislocazione geografica in un area del Nord-Est che ha avuto tutte le invasioni e non ha difese naturali, c’è una impostazione alla gregarietà (nessuno deve evolvesi) e in più c’è la diffidenza. Il luogo comune di gente che ha dovuto mantenere l’identità e il territorio in condizioni difficili.
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-    G.A.: Comunque Franco Basaglia era veneziano e ha lavorato a Gorizia, io ho lavorato con lui a Gorizia, e anche a Trieste.
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-    E.N.: Però dovette scappare da Padova.
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-    G.A.: Io non sono in grado di parlare di Padova perché non ho vissuto e non ho lavorato in questa città. Volevo dire che la realtà per quanto riguarda la psichiatria è molto brutta da tutte le parti, ora. Naturalmente mi scuso se c’è qualche situazione che non conosco perché a volte ci sono dei punti di forza che non sono conosciuti. Però quello che conosco, per quello che io so e che ho visto, grandi differenze non ne trovo.
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-    M.P.: Voglio introdurre un argomento di interesse generale, quello sugli psicofarmaci. Leggo due righe: “Nel mondo globalizzato e deregolamentato le sostanze psicoattive non saranno irrinunciabili solo come genere voluttuario ma anche come strumento del controllo sociale. Nell’età fordista stupefacenti quali alcool, tabacco, oppio e poi psicofarmaci hanno sempre avuto un doppio valore d’uso. Ora nel rivolgimento post-industriale il tentare una prognosi sul significato futuro delle sostanze psicoattive è legittimo”.
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-    Radioascoltatore: Sono un depresso, ho usato e uso psicofarmaci a base di serotonina. Non ho ottenuto risultato, ho ottenuto risultati solo quando il motivo che ha causato la depressione si è, oppure ho creduto che si sia dileguato.
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-    G.A.: Ecco, ha già risposto da sé. Mi dispiace, perché con questa persona dovrei parlare direttamente, perché queste sono cose personali, importanti.
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-    S.M.: Nel 2000 sono stati spesi 1000 miliardi per gli psicofarmaci.
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-    G.A.: Comunque questo signore ha detto due cose importanti: non sono le medicine che hanno cambiato la situazione, ma la situazione cambiava se diminuiva la causa che ha provocato la depressione. In altre parole ha detto: io ho dei motivi per la mia tristezza, se questi motivi non se ne vanno la mia tristezza continua anche se prendo gli psicofarmaci. Il fatto è che ci sono dei motivi che ci rendono tristi e ci fanno vedere la vita in maniera negativa e si perde il significato. Bisogna che cambi qualcosa nella nostra vita, perché non ci sono né medicine né altro che possano portare ad un rimedio. Sono gli psichiatri che promettono, falsamente, di dare dei rimedi che sono al di fuori della vita concreta della persona. Se io sono triste perché ho perduto una persona cara, è chiaro che non posso rimediare questo prendendo una pasticca. La malinconia o mancanza di voglia di vivere è dovuta alle vicende della vita e in rapporto a queste si può ritrovare l’entusiasmo di vivere, non prendendo delle medicine e intossicando il proprio cervello con la chimica degli psichiatri. Gli inventori dei primi psicofarmaci hanno detto loro stessi che avevano sbagliato, non servivano a niente, andavano eliminati come del resto Cerletti, che ha inventato l’elettroshock, disse che non andava fatto. Lo psicofarmaco è una sostanza psicotropa, cioè che ha una particolare affinità con le cellule nervose, sostanza che intossica il cervello. Intossicare il cervello non serve certo a farlo funzionare meglio, poi si intossica tutto l’organismo. Infatti le persone che prendono grandi quantità di psicofarmaci hanno un decadimento fisico. Avvelenarsi non serve a risolvere nessun problema. C’è un vecchio detto che quando uno sta male da un punto di vista psicologico, o è malato di mente da un punto di vista psichiatrico o è pazzo secondo il vecchio detto, ha uno stato di cui non si rende conto. Ma dire che una persona triste o depressa non si renda conto di questo è falso. Una persona è triste proprio perché si rende conto di un sacco di cose, tanto che gli fanno l’elettroshock, così poi dimentica una buona parte di queste cose e apparentemente è meno depresso. La malinconia è il riflettere sulla condizione umana, non è una malattia. Tra l’altro il termine depressione non significa nulla. Se io sono triste per rimediare alla mia tristezza bisogna che, attraverso l’esperienza della vita, mi costruisca qualcosa che diminuisce la tristezza, ma non gli psicofarmaci. Ma se io ad un certo punto voglio uccidermi non ci deve essere nessuno psichiatra o legislatore che dica quello che devo fare. Se una persona è triste ha bisogno di esperienza, di amicizia, di amore, di affetti, di significati. Una persona che riflette malinconicamente sui problemi della propria esistenza, può cercare di costruire cose nuove, nuove possibilità, nuovi significati, nuovi entusiasmi o d’altra parte distrarsi. Sono due possibilità migliori che prendere una sostanza tossica che avvelena il cervello. Però più che altro quando la causa della malinconia diminuisce si sta meglio. Cercare di trovare sempre nuovi significati in modo tale che se alcuni se ne sono perduti, c’è ne sono degli altri, e questo dà la possibilità di vivere. Come diceva Leopardi non è il dolore che distrugge gli uomini, ma il dolore senza significati.
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-    M.P.: Come si fa ad eliminare la causa della depressione?
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-    G.A.: Bisogna cercarla la possibilità, altrimenti dare una falsa soluzione è peggiorare la situazione.
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-    M.P.: Siamo d’accordo. Prendiamo un caso concreto. Un uomo di 40 anni sposato è stato diagnosticato schizofrenico, da 20 anni porta avanti questo problema con conseguente terapia farmacologia. Il suo corpo è mutato, però il problema non è stato risolto. Nel momento in cui smette di prendere psicofarmaci si fa forte volontà di suicidio.
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-    G.A.: No il problema non è che non è stato risolto, ma il problema è stato falsificato. Innanzitutto cosa vuol dire schizofrenico. Se io ho dei conflitti …
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-    M.P.: Io posso usare termini diversi…
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-    G.A.: Non è la questione del nome, ma di svalutazione di una persona. Perché se io dico che una persona è un cittadino del Marocco, questo corrisponde al fatto che è un cittadino che abita quella regione, che possiede quella carta d’identità. Ma se io dico un negro, questo è dispregiativo. Il discorso è uguale se io dico schizofrenico. Per cui se dico che uno ha dei problemi con la propria identità è una cosa, ma se dico che è uno schizofrenico è come dire l’ebreo, non intendendo quello che è cittadino d’Israele ma intendendo uno che è difettoso.
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-    S.M.: Uno è ammalato quando non è se stesso e non c’è nulla, nessun significato e nessuna relazione che lo definisca?
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-    G.A.: Non è che uno è ammalato. Quando uno perde significato della vita non è ammalato. E’ un’altra cosa.
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-    S.M.: La persona che ha un forte disagio, un malessere, va dal medico e chiede in fondo attenzione, una relazione e una definizione “mi dica che cosa ho”? anche con una diagnosi, una parola magica, farmacia. Se qualcuno mi dice chi sono, che cosa ho, forse poi sto meglio, ma in realtà quello che cercano è una relazione. Se non ha relazioni che funzionano con il suo ambiente, almeno ce l’ha con uno che è pagato per questo, per avere relazioni che mi definiscono.
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-    G.A.: Ma la relazione è basata sul fatto che uno è considerato con un cervello difettoso, perché è questo che significa malato di mente. Un concetto che è stato applicato arbitrariamente perché non c’è alcun difetto nel cervello. Non c’è niente di neurologico nonostante tutte le balle che raccontano. Ogni tanto viene fuori che i neri hanno il sistema genetico diverso dai bianchi per dire che sono inferiori, come per quelli che loro chiamano malati di mente che hanno qualcosa di genetico, per dire che sono inferiori. Ma un uomo, (si torna all’individuo), non è una macchinetta che funziona bene, un uomo è una ricchezza infinita di sensazioni, passioni, immaginazioni, fantasie, conflitti, disperazione ed è un uomo, non è un malato. L’uomo è vasto, è l’uomo troppo vasto- diceva Dostoevskij- io lo farei più ristretto. Loro invece qualsiasi problema uno ha, dicono: vedi ha un difetto! Allora andiamo all’estrema conseguenza di quello che dicono loro, il sano di mente è morto, morto perché non ha più alcun problema. Qualunque problema che uno abbia oppure anche problemi che non abbia, perché ad esempio i bambini che sono vivaci non hanno problemi, ma glieli mettono loro. Allora non solo tutti i problemi che abbiamo vengono trasformati in un difetto del cervello, vedi malattie mentali, ma anche quelli che non abbiamo. Per cui loro vedono il mondo in questo modo, ma non a caso. Hanno un potere che deve essere tolto. Un medico ha il potere di decidere di prendere una persona da un momento all’altro e di farla internare. E’ un è potere spaventoso che deve essere tolto. Noi cittadini tutti, a seconda della condizione sociale, siamo minacciati da questi qui che vengono, fanno una diagnosi che ci rovina per tutta la vita, diagnosi che non significa assolutamente niente. Significa però qualcosa di dispregiativo, perché se io dico schizofrenico nessuno mi sa dire in positivo cosa significa. Anche i politici si danno di schizofrenico l’un l’altro quando si vogliono squalificare.
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-    S.M.: Esiste talmente tanto poco la psichiatria che un Bossi può dire le cose più assurde senza che nessuno lo denunci, lo psichiatrizzi.
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-    G.A.: Meno male, nessuno deve passare dallo psichiatra. Ora Fini e Bossi sono insieme, ma quando non erano insieme Fini e quelli di A.N. insinuarono che Bossi fosse un malato di mente, per squalificarlo.
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-    S.M.: Dentro un gioco politico…
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-    G.A.: Ma non è un gioco. Bossi è un argomento poco interessante. Interessante è il fatto che lo psichiatra può squalificare qualsiasi persona con qualsiasi pretesto. E questo è una cosa tragica. I manicomi nascono da questo.
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-    S.P.. Si, ma se non lo fa lo psichiatra lo fa la polizia, la magistratura. L’aspetto dell’intolleranza ha i suoi strumenti per la repressione.
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-    G.A.: Non mescoliamo. Certo che c’è la polizia, la magistratura, ma quando vuole squalificare il pensiero di una persona si rivolge allo psichiatra.
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-    S.M.. Ma è lo stesso con la mafia, con la droga nelle discoteche che è un controllo sui giovani .
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-    G.A.: Lei fa filosofia su tutto, io sono qua…
-    S.M.: Certo lei è uno psichiatra, parla di psichiatria giustamente …
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-    G.A.: No, anzi mi ripugna occuparmi di psichiatria. Io sto parlando dei pericoli della psichiatria.
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-    E.N.: Antonucci non solo non è uno psichiatra, ma è stato critico anche rispetto all’antipsichiatria. Il suo filone di pensiero è la non psichiatria
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-    G.A.: Il mio discorso è molto semplice, la psichiatria non ha nessun significato se non un significato dispregiativo nei riguardi della persona, è dannosa come il razzismo.
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-    Ascoltatore: Io volevo sapere il ruolo del litio nella depressione. Io ho mia sorella che era caduta in depressione, aveva astenia psicomotoria, ideazione triste e cupa, somatizzava a livello intestinale. Con il litio mia sorella si è completamente normalizzata, prende due compressine di litio. Ha vinto l’astenia che prima la possedeva, non riusciva ad alzare una sedia, ha vinto la tristezza, malinconia e fa una vita praticamente normale. Volevo sapere ancora il ruolo dei neurotrasmettotori nella biochimica cerebrale (acetilcolina, serotonina ecc) perché nella depressione, non parlo della schizofrenia che è un discorso completamente diverso, parlo di individui che sono stati normali per diversi anni e che poi per una causa luttuosa o professionale o in pensione sono caduti in depressione. Tanti farmaci non risolvono il problema, io sono un medico ma voglio sapere dal collega la funzione dei neurotrasmettitori nella biochimica cerebrale e soprattutto quella dei sali di litio che in realtà risolvono il problema perché se mia sorella smette di prendere il litio nel giro di 3 o 4 giorni immancabilmente cade in uno stato depressivo. Grazie.
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-    G.A.: Il litio è un sale che dato in grosse quantità o per lungo tempo è anche tossico per i reni. Non risulta che modifica la persona nel senso che diceva il collega. Però io non conosco sua sorella, non posso giudicare. Posso dire che il problema di una persona è triste e ha pensieri oscuri non è il problema di avere più o meno litio, è il problema di avere una vita più o meno ricca di significato. Noi, come ho detto prima, non siamo delle macchinette, delle cavie. Certamente se io sono triste e prendo un bicchierino di alcool in quel momento può darsi che la mia tristezza la sento meno. Questo è l’effetto droga che è anche l’effetto del litio e di tutti gli altri psicofarmaci. Cambiare una persona con la chimica, momentaneamente, perché la struttura della vita non cambia. Per i neurotrasmettitori, io so bene come il collega, che il nostro cervello ha neurotrasmettitori. Tra l’altro la loro ricchezza va al di là delle capacità di ricerca che abbiamo ora. Dico solo che è chiaro che mentre io sono allegro e vado al night ho il cervello che funziona un po’ diversamente da quando sono triste e vado al funerale. Questo dipende anche dalla chimica del cervello. Ma il problema di essere tristi o allegri dipende dall’avere delle opportunità di gioia nella vita o avere dei dolori e delle cose che fanno disperare. Se io sono disperato perché mi è morta una persona, forse i miei enzimi cerebrali in quel momento funzionano diversamente certo, il dolore è diverso dalla gioia, ma tutto questo è fisiologico. E’ inutile inventarsi delle malattie per poi far finta di curarle, drogando le persone.
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-    S.M.: Molta gente delega, perché forse pensa che dover pensare a se stressa, prendersi la responsabilità di capire di affrontare la propria vita, di cambiare le relazioni significative che fanno soffrire o che potrebbero creare nuove opportunità, tutto questo è difficile, non ce l’hanno insegnato.
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-    G.A.: Sì, la rinuncia alle proprie responsabilità. Ma ad esempio uno si sente fallito e allora lo psichiatra fa la diagnosi e quello dice: “Ecco, vedi, se io non avessi avuto la malattia, chi sa, sarei stato un buon musicista e invece non lo sono? E in realtà non è un buon musicista”.
-    E.N.: Ci avviamo al termine della trasmissione.
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-    S.P.: Si delega alla psichiatria come panacea per risolvere tutti i mali.
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-    G.A.: Il fatto è che la psichiatria non può risolvere il male, la psichiatria distrugge. Magari uno può delegare al mago che le dà con la magia dei momenti di illusione e la persona sta meglio. Ma la psichiatria fa male. Il litio distrugge i reni.

  
-    Ascoltatrice: Una domanda sola. Quando una capisce tutto quello che avete detto e quando capisce che la sua vita non va, non riesce a cambiarla cosa deve fare? 


-    G.A.: Io questa risposta non la posso dare, non ho il potere di dire come si fa a cambiare una vita. Posso dire quelle che sono le false prospettive. Tutti noi abbiamo una vita che in certi momenti può diventare disperata e questo non può essere certo risolto dalla psichiatria. Anzi dallo psichiatra la persona si svaluta e si mette in condizioni ancora peggiori. Dare una risposta su cosa fare in una vita che si sente fallita e non si riesce a cambiare. E’ falso far pensare che ci può essere chi dà queste risposte. Noi siamo da soli di fronte alla nostra vita e dobbiamo affrontarla e non dobbiamo rivolgerci a persone che ci danno false prospettive.
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-    M.P.: Un’ultima domanda: lei spero si è occupato di psichiatria e diritto penale. Può dirci una parola su quest’argomento?
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-    G.A.: Si ritorna al discorso di casi tragici. Costantino, così importante per il cristianesimo, ha ammazzato la madre, il figlio e altri. Caino ammazza Abele, cominci lì la bibbia. L’omicidio fa parte della vita. Se c’è un omicidio c’è un problema giuridico. Il problema giuridico deve essere indipendente da qualsiasi falsificazione psichiatrica.


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