mercoledì 22 aprile 2020

Case di riposo al tempo del Covid19





Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich: “Io manipolo, adultero e nascondo le notizie dei miei comunicati. Che m’importa se questo è il vostro mondo? Io gli cambio ad arbitrio i connotati” 
 tratto da “L’abbicì della guerra di Bertolt Brecht

di Erveda Sansi 

Provo a mettere per iscritto alcune riflessioni, sarei contenta se ne seguisse una discussione. Sono fortunata, ho abbastanza spazio vitale, ho diversi interessi che mi tengono occupata anche tra le quattro mura, ma a volte mi manca l’aria, mi viene l’ansia, solo per il fatto di essere in clausura.
Mi chiedo: come mai riescono ad intercettare e multare i corridori, che pur non avendo un cane vogliono sgranchirsi le membra in completa solitudine e non riescono a regolarizzare i braccianti stranieri che lavorano in condizioni aberranti e mafiose da anni? Perché mi impediscono di fare 5 km per fare acquisti presso un piccolo rivenditore e mi danno il permesso per andare all’ipermercato che dista 10 km (in entrambi i casi fuori dal mio comune)? Vorrei focalizzarmi sulle Case di Riposo: lo so, adesso si chiamano RSA -Residenza Sanitaria Assistenziale, ma preferivo la vecchia definizione. Ci si va dopo una vita di lavoro e impegni, dopo essersi spesi per la famiglia o la comunità, per un meritato riposo, perché le forze non bastano più per badare a se stessi in tutto e per tutto e perché nessuno della propria famiglia ha la possibilità di farlo. Quindi non dovrebbe essere strutturata quale istituzione totale, quasi fosse un carcere. Gli anziani non dovrebbero essere considerati numeri o oggetti, e depersonalizzati. Penso che così anche il sistema immunitario ne risenta. Per quanto ne so nemmeno in questa situazione di particolare vulnerabilità per la presenza del Covid19 (dopo varie denominazioni mi sembra questa l’ultima adottata; 19 perché hanno scoperto il virus nel 2019, ma gli “esperti” hanno hanno dovuto pensarci ancora per un paio di mesi), particolarmente insidioso, non è stato intrapreso niente per rafforzare la difesa immunitaria di questi vecchi. Il primo problema è forse che le RSA non sono pubbliche, quindi uno degli obbiettivi più importanti è rimanere nei limiti del budget e trarne profitto: il bilancio non può andare in rosso. Tra l’altro ci hanno abituato a ragionare in termini di pareggio di bilancio: l’hanno inserito, di straforo, anche in costituzione. Come se lo Stato, e di conseguenza tutti i servizi alla persona e i servizi pubblici in generale, dovessero e potessero seguire l’identico tipo di partita doppia di un’azienda di produzione: da una parte le entrate, dall’altra le uscite. Questo tema sarebbe utile approfondirlo, magari da parte di un economista, visto che noi cittadini spesso veniamo tenuti all’oscuro di tante manovre, come le funzioni della Banca d’Italia, perché parte delle riserve auree italiane si trovano in banche straniere ecc. ma appunto, sto andando fuori tema. Se però l’assistenza all’anziano diventa fatto lucrativo, al primo posto non si può mettere il suo benessere, ma i conti che devono quadrare. La differenza tra impostazione socialista (o comunista) e capitalista (neoliberista) non è forse mettere al primo posto il benessere della comunità nel primo caso e il profitto nel secondo? Nel nostro sistema sempre più neoliberista spinto, prima di tutto si deve risparmiare sul personale, che deve quindi svolgere in poco tempo e male quello che richiederebbe molto più tempo. Si privatizza ulteriormente esternalizzando; neologismo che in realtà significa che si da in appalto la manodopera a delle “cooperative” che abbassano gli stipendi e aumentano le ore ore di lavoro, che non garantiscono né ferie né malattie, o solo parzialmente, che assumono a tempo determinato, insomma che privano i lavoratori dei loro diritti che sembravano inattaccabili. Ancora all’inizio di questo stillicidio, mi sembra all’inizio degli anni ‘90, avevo interpellato degli esponenti dei maggiori sindacati su questo problema per conto di amiche, ma mi dicevano che avevano altre priorità, o che avevano provato a risolvere il problema ma non erano riusciti. Chissà se adesso quello dei precari e delle false cooperative può di nuovo essere inserito tra le priorità? Di solito anche il servizio delle pulizie viene esternalizzato, ma come si può mantenere un’igiene perfetta quando si deve risparmiare sulle ore di lavoro e persino sui detersivi? Per una questione di tempistica l’anziano va messo a letto alle sette di sera e dopo 12 ore di sonno indotto dagli psicofarmaci si alza per fare colazione. L’esiguità del personale non permette di accompagnare al bagno l’anziano che di notte ne ha necessità ed è quindi prassi indurre l’incontinenza in persone che incontinenti non sono, con grave lesione della dignità umana. Intanto le multinazionali guadagnano sugli psicofarmaci, sui pannoloni (che inquinano) e sui farmaci che queste persone avranno bisogno in quantità sempre maggiore. Per evitare che l’anziano si alzi di notte, lo si lega al letto, con il metodo della contenzione. Infatti, non si tratta delle spondine che sono utili per non far cadere un anziano che, se cadesse, si romperebbe facilmente le ossa, ma di fasce con cui vengono legati al letto come salami, in barba alla Convenzione ONU dei diritti umani, che classifica tali pratiche come “tortura e maltrattamenti disumani e degradanti”. D’altra parte, si è giustificata un’amica, altrimenti non ce la facciamo a stare dietro a tutti i ricoverati; di notte siamo solo in due per due reparti. Si può curare bene un anziano in questo modo? C’è anche da aggiungere che siamo nel paese del papato, che ha voce in capitolo anche per quanto riguarda la nostra volontà di morire o rimanere in vita. Quindi teniamo obbligatoriamente in vita persone sofferenti, allettate e piagate con mezzi artificiali, solo perché la scienza dispone degli strumenti per farlo. Sia chiaro, ritengo che l’anziano vada curato alla pari di un giovane, ma garantendo sia all’uno che all’altro una vita degna di questo nome. Inoltre in tali condizioni e quando queste persone vengono private dagli affetti, il sistema immunitario va a farsi benedire. Naturalmente dove c’è qualcuno che si deve arricchire sulla pelle degli altri si deve risparmiare fino all’osso: i guanti monouso si tengono almeno un giorno, passando da un paziente all’altro. Queste informazioni le ho da persone che lavorano o hanno lavorato nelle RSA, non voglio generalizzare, ma il sospetto che in molte strutture si proceda in questo modo è alto. Non ho i dati relativi alle RSA e immagino che non si avranno mai, ma per quanto riguarda il sistema sanitario i dati ufficiali dicono che nel 2019 ci sono stati 49.000 decessi (nel 2003 sono stati 18.668), causati da infezioni ospedaliere, solo in Italia, che vuol dire più di 134 al giorno. Il lancio Ansa del 15 maggio 2019 dice anche che “L'aumento del fenomeno è stato osservato in tutte le fasce d'età, ma in particolar modo per gli individui dai 75 anni in su”. Non sarebbe forse utile dare delle informazioni utili sull’igiene (non il martellamento di lavarsi le mani, che quella è stata delle prime cose che ci hanno insegnato da piccoli), e su come rafforzare il sistema immunitario? Che i camici e gli altri dispositivi di protezione per gli operatori erano (e sono?) disponibili solo in alcune realtà, quindi raramente, nonostante il pericolo dell’epidemia, era evidente da tempo e ce lo ha riportato l’inchiesta della trasmissione Report. Che agli operatori delle RSA e ai sanitari non viene fatto il test o solo in rari casi, anche quando sono stati a contatto con persone con sintomi, e anche quando essi stessi sono sintomatici, lo so perché mi è stato detto da conoscenti. Il personale asintomatico invece, nella migliore delle ipotesi, continua a fare da vettore all’interno delle strutture. A Morbegno c’era un laboratorio analisi con una strumentazione acquistata d poco. E’ stato chiuso perché si sa, il personale costa troppo. Forse mi sbaglio, ma dei tecnici specializzati e della strumentazione poteva servire in questo frangente. Ma si sa, l’Italia deve spendere 70 milioni di euro al giorno per la Nato, sicché non rimane tanto da scialare. Dato che i reparti e servizi ospedalieri sono aperti solo per le urgenze e i medici di base spesso fanno le prescrizioni tramite telefono, come si fa a fare delle diagnosi attendibili per altre malattie che non sia il Covid19 ed evitare che questi anziani, spesso affetti da polipatologie, peggiorino la sintomatologia? Ho letto tempo fa un libro interessante del 2006, edito da Sensibili alle foglie, dal titolo “Pannoloni verdi. Dispositivi mortificanti e risorse di sopravvivenza nell’istituzione totale per anziani” a cura di Nicola Valentino. Si parla dei dispositivi della contenzione fisica e farmacologica, dell’infantilizzazione e dipendenza delle persone ricoverate, destinate ad aspettare passivamente la morte. Il libro è frutto di un cantiere richiesto dagli operatori (gli operatori spesso arrivano a soffrire di burn-out appunto per il sovraccarico di lavoro e la mancanza di personale) e con il coinvolgimento di quei ricoverati che volevano o potevano partecipare. Chiudo con l‘incipit del libro “Esercizi di memoria - il ‘68 visto dal basso” di Giuseppe Gozzini:
 Noi ci siamo ancora! “Uscire da soli dai problemi è avarizia, uscire insieme è politica”.

Nessun commento:

Posta un commento