domenica 30 dicembre 2018

Caso Mastrogiovanni, dalla Cassazione tutta la disumanità della contenzione di Giuseppe Galzerano



 Video delle telecamere di sorveglianza dell’ospedale Vallo della Lucania contenuti nel documentario «87 ore» di Costanza Quatriglio


 
articolo originale: https://ilmanifesto.it/

di Giuseppe Galzerano
 

Giustizia. Rese note le motivazioni della Suprema Corte per le condanne contro medici e infermieri che uccisero, legandolo per 87 ore, il maestro Francesco Mastrogiovanni nell'ospedale di Vallo della Lucania (Salerno)
La contenzione dei pazienti negli ospedali e delle persone in qualsiasi luogo non solo non è ammessa, ma è sequestro di persona e chi vi ricorre commette un grave reato.

Si tratta di un’illegittima privazione della libertà personale. Inoltre è necessario annotare la contenzione nella cartella clinica che «dev’essere redatta chiaramente con puntualità e diligenza, nel rispetto delle regole della buona pratica clinica, e contenere, oltre ogni dato obiettivo relativo al decorso della patologia, tutte le attività diagnostico terapeutiche ed assistenziali praticate», perché l’omessa annotazione dà «luogo ad una falsa rappresentazione di una realtà giuridicamente rilevante».
È quanto ha stabilito la V Sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal Consigliere Dr. Maurizio Fumo, nelle motivazioni del 20 giugno 2018 nella sentenza n. 50497 contro i sei medici e gli undici infermieri dell’ospedale-lager «San Luca» di Vallo della Lucania (Sa), responsabili della prematura morte di Francesco Mastrogiovanni, il maestro elementare anarchico, deceduto in seguito ad una lunga, illegittima e ininterrotta contenzione di 87 ore, tenuto legato senza alcuna ragione contemporaneamente ai quattro arti in un luogo di cura, senza alleviare la sofferenza né con un sorso d’acqua e né un pezzo di pane.
Oltre ai medici sono stati condannati anche gli undici infermieri, i quali, come i medici, hanno l’obbligo di «proteggere» il paziente e di segnalare all’autorità competente maltrattamenti o privazioni, soprattutto della libertà personale, insieme all’obbligo di «attivarsi per far cessare la coercizione» in quanto sono «più frequentemente a contatto con il paziente ed in grado di constatare da vicino le sofferenze che la limitazione meccanica gli cagionava».
In primo grado i medici erano stati condannati a pene variabili da due a quattro anni di reclusione e gli infermieri assolti, poi condannati dalla Corte d’Appello di Salerno.
I medici e i loro difensori avevano tentato di giustificare la contenzione come risposta all’aggressività del paziente, continuando anche in Cassazione, a denigrare Mastrogiovanni definendolo – in maniera infondata – violento, drogato, asociale, abbandonato dalla famiglia (solo un avvocato lo ha sempre definito correttamente «il professore Mastrogiovanni); arrivando finanche a chiedere l’incriminazione dei familiari per lite temeraria e sostenendo che la contenzione è una pratica terapeutica.
Nelle motivazioni viene affermata e riconosciuta la verità: Mastrogiovanni non aveva messo in atto nessuna aggressività, anzi aveva implorato aiuto ai medici, ma nessuno – a partire dal primario – gli aveva dato ascolto.
Viene anche riconosciuto che nell’ospedale di Vallo della Lucania la contenzione era una «prassi radicata» tale da diventare terapia e medicina quotidiana. Invece delle cure, ai pazienti veniva praticata la pedagogia della contenzione.
Storia impensabile e incredibile quella di Francesco Mastrogiovanni.
Il 31 luglio 2009 è sottoposto ad un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) illegittimo e illegale ordinato non dai medici come prescrive la norma, ma dall’allora sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, che fa sconfinare i vigili in un campeggio del comune di San Mauro Cilento, dove Mastrogiovanni è tranquillamente in vacanza.
Accusato di essere entrato con la macchina nell’isola pedonale di Acciaroli, ne sarebbe uscito a folle velocità, senza causare un graffio a nessuno. Inseguito e braccato alla stregua di una belva e di un pericoloso criminale, entra nel mare di Acciaroli, che abbandona dopo due ore. Solo allora un medico, capovolgendo la norma, assecondando la richiesta del sindaco, prescrive il TSO e una dottoressa, specializzata in medicina dello sport, lo conferma.
Prima di salire sull’ambulanza Mastrogiovanni – come ha testimoniato Licia Musto, proprietaria del campeggio – supplica profetico: «Non mi fate portare all’ospedale di Vallo della Lucania, perché là mi ammazzano», ma nessuno dà peso alle sue parole.
All’ospedale, nonostante sia intestato a San Luca, inizia il suo tragico calvario. Anche se è tranquillo, mentre dorme, viene contenuto contemporaneamente ai polsi delle mani e ai piedi, con lacci di plastica in dotazione dell’ospedale che gli procurano ferite profonde un centimetro.
Resterà sempre legato fino alla morte. Addirittura la contenzione supera la vita e da morto resta legato per altre sei ore, prima che la mattina del 4 agosto 2009 i medici si accorgano che il suo cuore – nell’indifferenza, nella barbarie e nella disumanità – ha cessato di battere a causa di un edema polmonare, dal quale poteva essere salvato.
La tragica e incredibile morte di Mastrogiovanni è documentata in un lungo e inoppugnabile video disponibile su internet e nel documentario «87 ore» di Costanza Quattriglio trasmesso da RAI 3, che minuto dopo minuto raccontano le agghiaccianti atrocità alle quali – senza nessuna ragione – viene sottoposto, senza annotare la contenzione fisica in cartella.
Mastrogiovanni, alto un metro e 94, era un maestro pacifico e non violento di grande umanità e sensibilità, che sognava una società libera e anarchica.
I suoi gli alunni lo avevano affettuosamente definito nei loro disegni «il maestro più alto del mondo».
Dopo questa importante e storica sentenza, dovuta al sacrificio di Francesco Mastrogiovanni, non sarà più possibile contenere i pazienti.
Occorre infine sottolineare che nessuno dei medici coinvolti ha subito un giorno di carcere, né sono stati sospesi dal lavoro e uno di loro è indagato per altre due morte sospette sempre per TSO, avvenute recentemente nel reparto dell’ospedale dove lavora.


28.12.2018 

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