Nota introduttiva di Piero Scaramucci al libro che raccoglie scritti di Giuseppe Gozzini, Non complice. Storia di un obiettore, a cura di P. Scaramucci e di L. Gozzini, Edizioni dell’Asino, 2014, che raccomandiamo ai nostri lettori.
Non sono un esegeta del pensiero di Giuseppe Gozzini, sono solo un amico, anzi posso dire che Beppe è stato per me il miglior amico, dal quale mi separavano tante cose: con la religione avevo rotto da anni, ero rispettoso ma un po’ diffidente della non violenza, ero assai meno comunista di lui. Eppure…
Dai primi anni ’60, quando ci incontrammo alle lezioni di russo del Circolo Filologico di Milano, si cominciò a discutere, di politica, di etica, di sfruttamento, di ribellione, di futuro, di amicizia, si fecero notti con pessima grappa, ci scrivemmo quando finì in carcere per obiezione di coscienza, primo cattolico a rifiutare la divisa, al fascino della sua visione etico politica io contrapponevo un pragmatismo terra terra, conoscere le armi dell’avversario di classe – sostenevo – è più utile che ignorarle.
Gli argomenti di Beppe li troverete in questa antologia di suoi scritti che abbiamo raccolto con l’aiuto della moglie Paola e delle figlie Letizia e Graziella, soprattutto con le ricerche di Letizia, argomenti solidi come rocce eppure sempre dialoganti, con radici nel pensiero cristiano e in quello marxista, legati alla storia, alla letteratura, al cinema. Annullava la distanza tra essere e dover essere, la persona è parte della società, il suo destino è in quello collettivo del mondo che lo circonda e dal quale non è possibile separarsi, si può semmai scegliere il campo tra oppressi ed oppressori, cercare la giustizia, opporsi all’ingiustizia, cioè – come diceva con don Milani – opporsi al sopruso del forte. Non si lasciò distrarre dalle apparenze, né condizionare dal pensiero corrente, non si lasciò intimidire da chi gridava più forte, non si lasciò lusingare dalla prudenza dell’opportunismo. E questo nel quotidiano di casa nostra, come per l’Africa sfruttata o il Vietnam o l’Iraq aggrediti, senza distinzioni. Così ebbe a lavorare con le persone più disparate, dagli operai milanesi ai disertori statunitensi, schierandosi con la rivolta e la rivoluzione che – come si diceva allora – non erano mai pranzi di gala. Si espose in prima persona, come con la celebre lettera aperta per Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della Questura di Milano, respingendo per primo, e allora quasi solo, la falsa versione del suicidio dell’anarchico.
Attorno alla sua scelta di essere obiettore e contestatore si mossero
grandi figure del cattolicesimo di allora, a partire da don Milani e
padre Balducci nonostante l’opposizione della Chiesa e le condanne
penali dei tribunali italiani. Beppe, pure lui ovviamente condannato
dalle istituzioni civili ed ecclesiastiche, divenne presto un simbolo
riconosciuto, anche – sia pure con qualche imbarazzo – dal mondo
comunista perennemente diviso tra perbenismo e antagonismo. Ma restò
sempre schivo e modesto, fiero del suo essere proletario. Cristiano,
cattolico, comunista, pacifista, militante, un profilo che non esiste
più nella pubblicistica corrente per la quale i “catto-comunisti” sono
una tipologia di schieramento politico. Non fu mai nemmeno sfiorato
dall’idea di chiudere la sua concezione di vita negli argini di una
etichettatura. Del resto sarebbe stato un personaggio scomodo in
qualsiasi formazione politica. Andava là dove lo portava la sua
coscienza, si confrontava pressoché ogni giorno con amici e compagni
altrettanto scomodi come Edoarda Masi o Franco Fortini o Giorgio
Antonucci, fondatore dell’approccio non-psichiatrico alla sofferenza
psichica. Insomma Beppe non era per nulla conciliante, sosteneva, sempre
più con il passare degli anni, che si dovesse obbiettare a tutto quel
che appariva iniquo. Opporsi, lottare era doveroso – diceva –, così
sviluppando nel presente la scelta che nel 1962 lo aveva indotto a non
vestire la divisa.
9 ottobre 2014
9 ottobre 2014
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