venerdì 2 settembre 2016

Tutto per il bene del paziente di Dorrit Cato Christensen

 

“Tutto per il bene del Paziente” 

 di Dorrit Cato  Christensen

*Sarebbe interessante tradurre in italiano il libro di Dorrit Cato Christensen, di cui c'è già una versione in danese e una in inglese.

 

 

 

 


Una storia personale, 18 marzo 2016

Condivido la mia storia a sostegno della Campagna CRPD Divieto Assoluto del Ricovero Involontario e del Trattamento Sanitario Obbligatorio. Questa Campagna è della massima importanza. Ricovero e trattamento sanitario, quando esercitati con la forza, sono torture, e devono essere immediatamente aboliti, poiché l’“aiuto psichiatrico” esercitato con la forza è un paradosso e non ha alcun senso. Può distruggere la personalità delle persone e la loro fiducia in sé stesse. Può portare, alla lunga, a disabilità fisica e psichica; e sfortunatamente, come mi è dato sapere con certezza, può anche dar luogo a morte improvvisa.

Ho avuto contatti molto stretti con il sistema psichiatrico danese. La mia cara figlia Luise è stata catturata, per errore, in questo “sistema di assistenza”, ma non è riuscita a uscirne viva. Mi rattrista dire che in seguito ho scoperto che il modo in cui Luise è stata trattata rappresenta la regola, più che l’eccezione. Dopo aver scritto un libro su Luise e il sistema psichiatrico,  Dear Luise: A story of power and powerlessness in Denmark’s psychiatric care system (Cara Luise: una storia di potere e di mancanza di potere nel sistema danese di assistenza psichiatrica)*, molta gente mi ha contattato da ogni angolo del mondo, per dirmi che la storia di Luise avrebbe potuto essere la storia di qualcuno dei loro cari.
Come presidente dell’associazione danese Dead in Psychiatric Care” (Morte nella cura psichiatrica), sono costantemente in contatto con persone disperate che sono state rinchiuse o che hanno sperimentato qualche forma di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO). Tutti loro parlano delle tremende quantità di psicofarmaci che sono obbligati ad assumere. Si sentono impotenti quando protestano per gli orribili effetti collaterali, e quando si sentono rispondere che i disturbi sono aumentati e che quindi le dosi vanno aumentate. Sento espressioni di compiacimento da parte  di alcuni  professionisti del disagio psichico, sia dottori che infermieri, e della concomitante disumanizzazione dei loro pazienti attraverso l’indifferenza, le molestie, la coercizione e l’uso della violenza. Tramite l’esperienza con la mia amata Luise, ho potuto osservare questo freddo e pericoloso mondo del trattamento  sanitario psichiatrico.
Luise è morta nel 2005 quando il suo corpo e la sua mente non riuscivano più a tollerare i trattamenti inumani. Dopo la sua morte, ho avuto acceso alla documentazione ospedaliera. Leggere le 600 pagine della cartella clinica di Luise è stata un’esperienza penosa. Indicano una diagnosi impersonale, con alcune tracce della coercizione, sia diretta che indiretta,  che permeano l'ammasso delle note grafiche. Luise voleva che l’aiutassi, ma gli psichiatri non volevano ascoltare la mia opinione, credevano di saperne di più. Così, impotente, ho osservato come Luise andava deteriorandosi sia fisicamente, che psicologicamente. Sono stata testimone di arroganza e disonestà, di ripetute diagnosi errate, di collusioni professionali, di sparizione di documenti ufficiali e grafici clinici falsificati.
Luise iniziò questo percorso nel 1992, all’età di 18 anni. Pensava di doversi sottoporre ad un controllo psichiatrico senza psicofarmaci, ma invece è stata sottoposta a pesanti trattamenti con psicofarmaci fin dal primo istante in cui ha messo piede in ospedale. Dopo otto giorni stava per morire a causa dell’avvelenamento provocato dagli psicofarmaci. Ciò accadeva nell’agosto del 1992. A ottobre del 1992 era ancora profondamente segnata da questo avvelenamento. Io non ho alcun dubbio che abbia subito danni cerebrali dovuti ai trattamenti subiti. Invece di curare queste ferite, gli psichiatri hanno deciso di aumentare gli psicofarmaci.
Luise disse di no. Sosteneva che gli psicofarmaci l’avevano fatta ammalare gravemente, come effettivamente era avvenuto. Gli psichiatri hanno interpretato questi suoi argomenti come ulteriore sintomo della sua malattia. Poco dopo il trattamento sanitario obbligatorio iniziò tramite iniezioni, insieme alla contenzione fisica.
Ha lottato per due mesi con queste terribili droghe. Il personale medico ha ovviamente sempre vinto la battaglia, attraverso la forza fisica, le cinghie di cuoio e le siringhe.
A un certo punto Luise smise di lottare. Era stata spezzata. Il mio cuore sanguina quando leggo gli appunti dell’11 Novembre 1992. Due mesi e mezzo dopo che lei aveva contattato la guardia psichiatrica per un aiuto, l’annotazione recita: “Oggi la paziente non offre alcuna resistenza fisica, ma è ansiosa di prendere le medicine e stringe le mani (degli psichiatri…), dopodiché piange”.
Dopo aver letto le annotazioni, mi rendo conto che la coercizione, sia esplicita che sottaciuta, gioca un ruolo ben maggiore di quanto non avessi mai immaginato.
Inizialmente Luise ha lottato e la cosa ha dato luogo a misure ritorsive a lungo termine. Mi sono resa conto che anche la sola minaccia di misure di ritorsione era sufficiente perché Luise si arrendesse. E’ la stessa storia che sento dire da molte delle persone che mi contattano. Ad un certo punto, tutti si arrendono.
Il 14 Luglio 2005, all’incirca alle 4 del pomeriggio, Luise ha sperimentato per l’ultima volta questa crudeltà, durata anni. E’ stata sequestrata e rinchiusa in un reparto psichiatrico. Le è stato iniettato un ulteriore psicofarmaco, oltre ai quattro che già aveva assunto. Il giorno 15, durante la notte, stava camminando, come d’abitudine (a causa dell’acatisia). E’ stato udito un tonfo. Alle 5 di mattina Luise è stata dichiarata morta. Vani sono stati i tentativi di rianimazione da parte dei dottori, la mia Luise se n’era andata per sempre.
La scheda della cartella clinica, redatta non molte ore prima della sua morte, recita: “Oggi la paziente è stata persuasa a prendere psicofarmaci a lento rilascio”. Poi poche parole circa le dosi e su quanto lei si sentisse bene, e che il giorno seguente avrebbe potuto essere trasferita in una struttura aperta.
Luise non voleva che io le facessi visita, quel pomeriggio del 14 luglio. Ciò non era normale, così ho chiamato la guardia medica che mi ha risposto che lei stava bene e che proprio non voleva  vedermi. Ho chiesto se ci fosse stato un cambiamento nel suo trattamento farmacologico, temevo che le avessero fatto l’iniezione di cui il dottore aveva parlato, di cui avevo detto che avrebbe portato Luise alla morte. La donna al telefono rispose che, per il bene di Luise, avevano deciso di informarmi sui cambiamenti farmacologici, solo una volta la settimana. Così ne sono venuta a conoscenza solo il giovedì seguente. E’ stato allora che mi sono veramente spaventata. Ci sono solo poche parole sulla scheda clinica su una decisione tanto importante, come quella della somministrazione di un nuovo psicofarmaco attraverso iniezioni a lento rilascio.
La legge medica prevede che nella cartella clinica del paziente debba venir registrato qualsiasi nuovo farmaco venga somministrato al paziente, e le decisioni del paziente in proposito. Invece la sua scheda non riportava niente. Nessun consenso informato. Luise avrebbe fatto di tutto per evitare l’iniezione. Per cui la frase: “La paziente oggi è stata  persuasa ad assumere iniezioni di psicofarmaci a lento rilascio” è inquietante. Sono certa che lei lottò per rifiutare questa iniezione, dal momento che in precedenza aveva rischiato di morire proprio a causa delle iniezioni di psicofarmaci.
L’autopsia rivelò anche segni attorno al suo corpo, che il medico legale non riuscì a spiegare. Io non ho dubbi che questi segni sono stati prodotti dagli infermieri, quando l’hanno bloccata per impedirle di lottare contro l’assunzione dei farmaci tramite iniezione. Iniezione che poi, da otto a dodici ore dopo, l’ha fatta morire.
I problemi dovuti al disagio mentale non sono mortali. Nonostante ciò molte persone, troppe persone, muoiono ancora durante i trattamenti psichiatrici. Muoiono perché subiscono trattamenti a base di psicofarmaci ad altissime dosi, spesso contro la loro volontà e attraverso l'uso di violenza. La tragedia di Luise non è per niente unica in Danimarca, così come non lo è in tutti gli altri paesi a industrializzazione avanzata.
Dopo la morte di Luise, ho mandato una denuncia all’Agenzia Nazionale per i Diritti dei Pazienti e all’Associazione per l’Assicurazione dei Pazienti. Il titolo della mia denuncia è: “Morte da avvelenamento per psicofarmaci”. Ho nominato i quattro diversi farmaci con cui l’hanno trattata, che costituivano un enorme cocktail.
Secondo queste agenzie Luise ha ricevuto lo standard più alto di trattamenti specialistici. Così hanno scritto:
"Il trattamento antipsicotico è stato formulato con i migliori standard professionali. Che i risultati non siano stati soddisfacenti, si deve alla condizione, alle circostanze e al fatto che le conoscenze relative ai trattamenti sono limitate.
Come ho dichiarato, credo che il rischio inerente al trattamento sanitario, deve essere valutato in relazione alle sofferenze che Luise H.C. avrebbe potuto patire senza i trattamenti. 
E’ incomprensibile che il trattamento subito da Luise fosse giudicato all’altezza dello standard, quando nei fatti gli psichiatri somministrarono psicofarmaci a dosi  tre volte superiori rispetto alle dosi raccomandate.  Non c’era il consenso informato relativo a questo cocktail di psicofarmaci e non c’è nulla di scritto nella cartella clinica dell’ospedale, relativamente al trattamento subito da Luise nei suoi ultimi giorni di vita.
Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite, tutti sono uguali davanti alla legge. Allora perché questa uguaglianza nella pratica non viene realizzata? E perché nessuno è ritenuto responsabile quando la legge viene violata? Continueremo ad accettare una società in cui troppe persone perdono la vita per una malattia che non è mortale? Possiamo accettare una società in cui il Trattamento Sanitario Obbligatorio è spesso la causa di gravi disabilità?
La mia risposta è NO. Vi prego, FERMATE i Trattamenti Sanitari Obbligatori. Perché gli psichiatri sono a tal punto determinati nel conservare trattamenti che sono tanto pericolosi e degradanti? A loro voglio dire: “Vi prego, scendete dalla vostra torre d'avorio, giù, nel mondo reale, dove ci sono persone reali. Smettetela di dire che questo genere di trattamenti sono “per il bene del paziente”.

Dorrit Cato Christensen è autrice, docente e presidente dell’associazione danese Dead in Psychiatric Care. Dopo il fatale contatto di sua figlia con il sistema psichiatrico danese, ha dedicato la sua vita ad aiutare le persone che sono intrappolate nel sistema psichiatrico. Ha riportato la storia di sua figlia nelle sue conversazioni e nel suo libro:“Dear Luise: A story of power and powerlessness in Denmark’s psychiatric care system”

Traduzione dall'inglese di Erveda Sansi

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