venerdì 23 settembre 2016

Elsa Cayat e il suo divano di Charlie Hebdo



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“Abusare dell’altro non è un segnale di forza, abusare è sinonimo di alienazione e di negazione di se stessi e dell’altro”.
E.C.


“Nelle parole si trovano le chiavi della nostra libertà, e la possibilità di gioire della magia della vita e del mondo”, scriveva Elsa Cayat, nata in Tunisia nel 1960, psichiatra, psicoanalista, saggista e impertinente. E’ stata assassinata il 7 gennaio 2015, durante l’attentato terroristico alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, mentre si svolgeva una riunione di redazione. É autrice di libri sulla coppia, la sessualità, le questioni sentimentali: Un homme + une femme = quoi ?, ed. Jacques Grancher, 1998; Le désir et la putain. Les enjeux cachés de la sexualité masculine, (con A.Fischetti), ed. Albin Michel; La capacité de s’aimer, (con F.X. Petit), ed. Payot, 2015. A ottobre del 2015 è uscito postumo Noël, ça fait vraiment chier! ed. Les Échappés–Charlie Hebdo; si tratta di una raccolta di articoli della rubrica Charlie divan, da lei curata.

Nella prefazione Alice Ferney la descrive come una donna forte, realista, ottimista, con una voglia di vivere contagiosa, dalla voce decisa. Il fratello racconta che era già stata minacciata due volte.
In una chat online, anche questa un’interessante proposta di condivisione dei saperi, Elsa Cayat risponde alle domande di alcune interlocutrici. Ecco un piccolo assaggio: “Come si può voler desiderare di basare la propria vita su qualcuno diverso da se stessi”? - “Questo è il problema che pone l’amore. La questione non è cercare di fondare la propria vita sull’altro. La questione invece è che si deve mantenere la propria vita per se stessi, per concentrarsi su di sé, per essere in grado di aprirsi all’altro. In un certo senso, il problema che hai posto è l’asse dei problemi amorosi. E questo asse è il mito dell’amore. Da qualche parte, vorremmo riposarci sull’altro, fondare la propria vita sull’altro, perché si ritiene che tutti i propri problemi provengano da una mancanza di amore. Si ritiene  che l’amore sia la soluzione a tutti i propri difetti, e che perciò l’altro ci possa guarire da tutti i nostri mali. Ma questo è sbagliato. Non soltanto l’altro non può supplire alle nostre carenze, ma i problemi personali spunteranno fuori nella misura stessa dell’intensità del rapporto amoroso. Per poter risolvere i propri problemi, non si tratta di cercare di capire l’altro, cercando di metterci al suo posto, ma dobbiamo analizzarci interiormente e ricentrarci su noi stessi”. http://www.psychologies.com/
In quarta di copertina del saggio “Noël, ça fait vraiment chier”, corredato dai disegni (satirici!) di Catherine Meurisse, si legge: “Il suo modo di trattare l’adesione all’autorità, il razzismo, il capitalismo, il godimento, la legalizzazione della cannabis o ancora la famiglia, ci apre un campo di riflessione appassionato”. L’autrice, aperta al linguaggio e all’ascolto degli altri, analizza minuziosamente i problemi inerenti all’essere umano, per comprovare che ciascuno custodisce dentro di sé le risorse per essere felice, nonostante il sistema capitalistico produca una folla di persone in fuga da se stesse, sotto il peso degli antidepressivi, espropriati del sapere che hanno della propria interiorità, non hanno più spazio, né per pensare, né per gioire; scrive a pagg. 107-108, nell’articolo La scienza senza coscienza è solo rovina dell’anima: “In effetti la psichiatria, vale a dire il campo di applicazione dell’afflizione, del condizionamento e dell’illusione inerenti all’uomo, è nelle mani dell’amministrazione. Amministrazione che è asservita ai laboratori che hanno acquistato e venduto il DSM, dove a ciascun sintomo corrisponde una specifica medicina. Lo psichiatra è perciò chiamato a essere un tecnico senza testa, senza cuore e senza stato d’animo. Deve assolutamente seguire i protocolli emessi, sotto pena di sanzioni disciplinari. Questo sistema instaura l’autoritarismo per mezzo della paura, in modo occulto e silenzioso. […] Si serve di una pseudo-razionalità esclusivamente descrittiva per far fruttare i laboratori a spese dei pazienti e dei medici che sono sotto la legge dell’economia e del profitto. […] Il punto di vista dominante è che non ci possano essere cambiamenti positivi, l’idealizzazione degli schemi nella loro trasmutazione positiva che è caratteristica del lavoro del pensiero, è relegata nel regno dell’utopia. Perciò non resta che il terrore, l’anticipazione del peggio e la prescrizione dell’oblio, tanto più che i consumi si restringono e che questa illusione di felicità che questa società ha offerto è esplosa. Quindi, se il capitalismo è la rovina dell’uomo, la causa non è tanto la rovina economica che questo sistema non può evitare di generare, ma, come diceva Rabelais in modo geniale, che “la scienza senza coscienza non è altro che la rovina dell’anima”.


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