sabato 14 maggio 2016

Dove sarei se non credessi in me? di Corinne A. Taylor




Dove sarei se non credessi in me?

di Corinne A.Taylor

21 marzo 2016


Il mio nome è Corinne A. Taylor e ho intitolato questo pezzo, "Dove sarei se non credessi in me?"
Ogni volta che mi siedo per condividere un aspetto della mia storia, lo faccio da uno spazio del mio cuore che vuole condividere la consapevolezza nel mondo, pur sapendo che c’è stato un periodo della mia vita, in cui non sapevo nulla e accettavo solo ciò che lo psichiatra e l’assistente sociale mi dicevano. Ero disperata, avrei voluto vivere una vita bella, ma non sapevo come. Ho imparato che non sono l’unica, e che ci sono tantissime persone che semplicemente non sanno e che accettano di essere etichettate e di prendere psicofarmaci. Tuttavia sono arrivata alla consapevolezza e adesso so che questa è solo la mia storia, e che le storie degli altri debbono essere rispettate e avvalorate come la mia storia, che ho scelto di raccontare, sapendo che ognuno di noi è degno di vivere una bella vita. Mi sto concentrando su un aspetto della mia vita: quello di non essere costretta a prendere psicofarmaci; perciò ho concepito il titolo: “Dove sarei se non credessi in me?” per la Campagna a sostegno del divieto assoluto del ricovero coercitivo e del trattamento sanitario obbligatorio, nella CDPD.

Quando sono arrivata ad essere consapevole di ciò che mi stava accadendo nel servizio psichiatrico, e cioè della scelta di accettare una diagnosi di malattia mentale e l’etichetta per così tanto tempo, e di accettare gli  psicofarmaci mentre morivo lentamente in attesa di una cura per stare meglio, per vivere la vita che volevo, ho deciso: mai più. Sin da bambina, con la mia mente, il mio corpo, il mio spirito ho percorso un viaggio per la pace, ma è stato interrotto dall’abbandono, dall’abuso fisico, sessuale ed emozionale, dalla povertà e da un’educazione carente. Quando ho detto “mai più” all’ultimo psichiatra che ho visto, e che mi aveva offerto ancora più psicofarmaci, mi hanno coinvolta nella comunità per il recupero (recovery) e ho imparato molto sulla storia della salute mentale nel nostro mondo. Sono quindi stata informata e ho potuto scegliere. Scelgo di sentire quello che ho bisogno di sentire, di lasciar andare quello che ho bisogno di lasciare andare, di perdonare altri e me stessa e di imparare, di imparare di nuovo e di imparare ogni giorno. Significava non poter continuare ad accettare la mente paralizzata dagli psicofarmaci, cosa che non mi permetteva di accettarmi pienamente e di lasciare andare pienamente gli effetti del trauma.
Quando ho avuto l’ultimo colloquio con la psichiatra che mi ha offerto ancora più psicofarmaci, diversi tipi di psicofarmaci, ogni volta dovevo dirle di no. Mi ricordo ancora l’espressione del suo volto. Mi ricordo ancora la fiducia in me stessa e che sapevo quello di cui avevo bisogno e quello che dovevo chiedere, e ciò che mi aspettavo di ottenere in considerazione dei miei diritti umani. Posso ancora ricordarmi dell’ultima sessione con la terapeuta che ho visto, che mi consigliava di ritornare da lei a breve, che avrei avuto bisogno di andare da lei per scaricare su di lei, anziché affrontarletutte, le cose che accadono nella mia vita. Questo parlare con lei e scaricare su di lei, significava non affrontare le situazioni con cui avevo a che fare fuori dal suo ufficio. Significava: non collegare e scollegare, non costruire relazioni e, ancor di più, non avere fiducia in me stessa.
Ma quel giorno ho creduto in me stessa. Ho creduto nel percorso che stavo vivendo. Capivo tutte le dure lezioni attraverso cui ero passata; imparo e mi piace la condivisione con gli altri, e il modo in cui imparo dagli altri. Ho trovato persone che sono diventati amici, i quali mi hanno sostenuto, e hanno creduto in me e contribuito ad alleviare il fardello di un’esistenza opprimente, di povertà e di carenze. Mi hanno dato forza le storie della Bibbia che avevo imparato da bambina, per non mollare e perseverare. Ho scelto di condividere la mia storia su www.theproject321.com: è la lezione dove ho imparato a prendermi il tempo per prendermi cura di me, e ho imparato le lezioni di tutte le mie esperienze, in particolare di quelle dure.
Sono contenta di aver creduto in me. Lavorare dietro le quinte di un ospedale psichiatrico mi ha davvero aiutata quando ho visto che lo psichiatra e gli assistenti sociali, hanno tutti i loro difetti come le insicurezze, i giudizi, i problemi di comportamento e in realtà sono solo esseri umani come lo sono io. Questo mi ha reso forte e fatto credere in me stessa. Quando sono venuti da me con notizie negative, sono stata capace di difendermi. Li ho visti con tutti i loro difetti umani, ma meritevoli di dignità e rispetto, che sapevo di meritare anch’io, come chiunque altro. Se quell’ultima psichiatra con quello sguardo sul suo volto che significava che lei sapeva cos’era meglio per me, avesse deciso di chiamare la polizia e rinchiudermi, costringendomi ad assumere gli psicofarmaci che mi stava offrendo, dove sarei oggi? Gli ultimi cinque anni ho lavorato per vivere, in contatto con i miei figli che sostenevo emotivamente. Mi sono fatta degli amici e degli alleati nella comunità, e vivo la mia vita inserita nella società, non sdraiata sul divano piena di psicofarmaci in sovradosaggio, morendo lentamente e accettando la diagnosi e l’etichetta. Chiedo nuovamente: “Dove sarei se non credessi in me?” So dov ero finita quando non ho più creduto in me, accettando una diagnosi di malattia mentale dopo l’altra, uno psicofarmaco dopo l’altro, senza vivere il mio pieno potenziale come essere umano. Questo è tutto ciò che voglio. Sento che lo merito, come ognuno di noi.

Traduzione a cura di Erveda Sansi

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