domenica 15 maggio 2016

La libertà controversa dello 'spaventoso' di Karlijn Roex

La libertà controversa dello “spaventoso”: l’uso della coercizione in psichiatria viola i diritti umani basilari

di Karlijn Roex

Illustrazione di macmcgill



articolo originale in inglese: https://absoluteprohibition.wordpress.com/2016/03/24/the-contested-freedom-of-the-scary-karlijn-roex/

24 marzo 2016


La detenzione, l’isolamento, la somministrazione coercitiva di psicofarmaci; nel corso della storia, le società hanno avuto la tendenza a limitare in modo aggressivo le persone con disabilità psico-sociali e hanno preferito una strumentalizzazione ossessivo - securitaria, calpestando i diritti umani universali. Ma di recente, l'uso della coercizione in psichiatria, è diventata una pratica molto dibattuta negli ambienti che si occupano dei diritti umani; testimonianza ne è l'ultimo rapporto di Human Rights Watch [1] sul contenimento. Questo crescente interesse ha ottenuto un grande impulso dal recente comunicato della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle Persone con Disabilità. Basandomi su lavori scientifici, narrazioni degli utenti e principi morali, sostengo l’appello formulato dal Comitato sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) ad abbandonare l’uso della coercizione in psichiatria.





Secondo i documenti autorevoli della Convenzione [2], l’uso della coercizione in psichiatria è una forma di discriminazione delle persone con disabilità psico-sociali, e viola il diritto di queste persone a godere dell’autonomia e dell’integrità personale. Questi principi devono essere rispettati, indipendentemente da eventuali benefici strumentali che possono derivare dall’attuazione di interventi psichiatrici coercitivi. Ma i benefici strumentali percepiti sono esattamente il motivo per cui l'uso della coercizione in psichiatria è rimasto incontrastato per lungo tempo. Questi benefici hanno anche un significato morale. Le persone hanno il diritto a essere protette contro se stesse o contro pericolosi compagni umani. Infatti, molti sostenitori della coercizione in psichiatria seguono questo ragionamento etico del “male minore”. Secondo loro, è consentito introdurre un male, se questo impedisce un male maggiore. Così, l’argomentazione del male minore giustifica la rinuncia di alcuni diritti umani fondamentali. Questo è pericoloso, perché in genere i diritti umani si abbandonano proprio quando sono più necessari [3]. In realtà, questi diritti umani hanno lo scopo di proteggere le nostre minoranze che fanno da capro espiatorio, dall’essere oppresse nei momenti di paura, da parte del pubblico. Nei periodi in cui il pubblico ha paura, alcuni diritti umani diventano un privilegio della non-paura o, se si preferisce, della “sezione rispettabile della società” [4].
Nel contesto qui descritto, i fortunati sono le persone senza disabilità psicosociali. La paura, al contrario, ha a che fare con una libertà controversa.
Gli interventi psichiatrici coercitivi sono decisioni o azioni imposti all’individuo, senza il suo consenso informato, sulla base della disabilità psico-sociale. A questo proposito, il CRPD si è espresso contro l’utilizzo di questo standard della pericolosità, o di qualsiasi altro criterio che sia un modo per legittimare la detenzione psichiatrica [5]. Per essere chiari, gli interventi coercitivi che qui vengono discussi, non sono quelli effettuati a causa di un sospetto criminale o di una condanna penale. Oggi, la maggior parte dei paesi permettono gli interventi psichiatrici coercitivi, solo quando un individuo è considerato pericoloso per se stesso o per gli altri. Tuttavia, la valutazione iniziale di pericolosità viene fatta dagli psichiatri. In questa decisione iniziale di detenzione psichiatrica di un individuo, un tribunale non è ancora coinvolto. Questo è molto problematico, perché la prospettiva psichiatrica e lo strumentalismo dell’ossessione della sicurezza, dominano chiaramente il processo decisionale chiave, a costo dei diritti umani. Nel momento in cui la decisione iniziale degli psichiatri è rivista criticamente, alla persona interessata è già stato applicato un marchio di vergogna. Non solo è stato applicato questo marchio di vergogna, attraverso la sfavorevole ipotesi psichiatrica iniziale, che acquista molta autorità epistemologica nelle nostre società, ma anche per la pratica molto stigmatizzante della detenzione stessa [6]. E’ quindi molto più difficile per l’individuo in questione guadagnare in credibilità.
Vediamo quindi che le condizioni per gli interventi psichiatrici coercitivi sono diventati più severi nel corso del tempo, ma che non riescono a contrastare seriamente la pratica della detenzione arbitraria. Questo potrebbe spiegare perché lo standard più “restrittivo” di pericolosità, non ha portato a una diminuzione del numero di detenzioni psichiatriche [7]. Probabilmente, l’innovazione ha piuttosto avuto la funzione di mettere a tacere tutte le voci critiche dal punto di vista dei diritti umani. E’ stato possibile silenziare, perché sono state incorporate alcune parti insignificanti degli appelli critici nella politica attuale, senza che venissero cambiati significativamente i principi intrinsecamente oppressivi e discriminatori [8]. A quanto pare, nella società vi è una forte domanda di confinare le persone con disabilità psico-sociali, e uno degli elementi chiave alla base di questa domanda è la pericolosità percepita.

 Proteggere le persone da se stesse: il diritto di non essere un falso positivo [9]

Ma cosa c’è di sbagliato in questo criterio di pericolosità? Non abbiamo, per esempio, il dovere morale di proteggere le persone da loro stessi in caso di necessità? Ovviamente si! Ma dobbiamo riflettere ancora un momento sulla nostra capacità di valutare gli stati mentali: quand’è che qualcuno deve essere considerato un pericolo per se stesso? Permettetemi di prendere come esempio il suicidio. Come ricercatore di questo argomento, la letteratura mi mostra chiaramente che la valutazione del rischio di suicidio negli individui, è un compito molto difficile. La maggior parte delle persone che dicono di volersi suicidare, non lo fanno, soprattutto le donne [10]. In secondo luogo, è provato che le valutazioni dei rischi psichiatrici sono realmente inattendibili [11], e portano a molti “falsi positivi”: persone che sono considerate un pericolo, mentre in realtà non lo sono. La dichiarazione di pericolosità di una persona, è in realtà una ipotesi sugli stati mentali e i comportamenti futuri. Queste cose non sono osservabili e sono difficili da misurare. Anche quando un individuo in passato ha commesso atti autolesionisti, questo non lo rende necessariamente pericoloso per il presente o il futuro. I risultati dei test sono suscettibili di essere di parte e di essere influenzati da pregiudizi comuni, sulle persone con disabilità psico-sociali [12], sulle minoranze etniche, e sui poveri [13]. Peggio ancora, la pretesa pericolosità è rigorosamente non falsificabile, almeno a breve termine: come si può dimostrare oggi che uno non si ucciderà a breve? Come conseguenza, molti individui sono sottoposti ad interventi coercitivi, perché sono stati erroneamente etichettati come ‘pericolosi' e non possono sfuggire facilmente a questa etichetta. Sfuggire all’etichetta di pericolosità è reso ancora più difficile dagli atteggiamenti di diffidenza che generalmente il personale ospedaliero ha verso i pazienti mentali [14], e il fatto che le persone, nel corso del tempo, tendono ad iniziare a comportarsi conformemente allo stigma, a causa dei suoi effetti negativi su di loro [15]. L’accumulo di interazioni umilianti, che frustrerebbero qualsiasi persona normale, può portare a risposte che possono essere definite come ‘aggressive’. Come reagireste se apprendeste che vi sono state date informazioni sbagliate sul vostro stato giuridico [16] riguardante qualcosa di importante come la vostra libertà?
Questi “falsi positivi” sono persone vulnerabili, come le persone che sono un reale pericolo per se stesse. Ma si può considerarla ora una strategia saggia, esporre queste persone ad alcuni dei molto traumatici interventi psichiatrici coercitivi? Ci sono numerose testimonianze di pazienti e di ex-utenti della psichiatria, che indicano come per loro questi interventi sono sfibranti e traumatici. In effetti, alcuni sostenitori dei diritti umani chiamano tortura alcuni di questi interventi. Ci sono anche indicazioni che l’esposizione a tali interventi può portare a sintomi di stress post-traumatico e al suicidio [17]. Esistono narrazioni di utenti, che dicono che gli individui senza alcuna tendenza suicidaria precedente, sono diventati suicidi dopo essere stati esposti ad interventi coercitivi come l’isolamento. Le narrazioni di utenti ci dicono quanto umilianti possono essere queste esperienze, con le persone che perdono la loro integrità personale, l’umanità e la dignità. Gli individui colpiti spesso portano con sé questi sentimenti, fino a molto tempo dopo gli incidenti.

Proteggere le persone dai loro pericolosi concittadini: contestare la libertà dell’ ‘Altro’

Ma cosa succede se una persona non è un pericolo per se stessa, ma per gli altri? Cosa c’è di moralmente sbagliato nel voler essere protetti contro i nostri concittadini pericolosi? Beh, niente, ma ovviamente dobbiamo portare motivi ragionevoli e la prova di questo presunto pericolo. La semplice esistenza di un disturbo psico-sociale, non può denotare un pericolo. Quando un individuo mi dice che sta per farmi del male, può essere perseguito per le minacce. Nella maggior parte dei paesi hanno anche criminalizzato diversi disturbi di ordine pubblico. Possiamo così perseguire chiunque abbia visibilmente intrapreso i preparativi per commettere un reato, o che abbia chiaramente cercato di commettere un certo crimine. Quindi: abbiamo già una grande legge che ci protegge contro i concittadini pericolosi: il diritto penale! Ancora di più, questa legge protegge i cittadini contro lo Stato e una comunità iper-paurosa. Non possiamo semplicemente condannare un individuo sulla base di un semplice sospetto; la condanna richiede invece che vi sia qualche prova tangibile contro questa persona.
Con questa grande legge in mente, perché dovremmo creare un’altra legge speciale per le persone con disabilità psico-sociali? Perché abbiamo paura delle persone con disabilità psico-sociali. Un mero sospetto di pericolosità in una persona con malattia mentale è già abbastanza terrificante, non è così? Perché allora preoccuparsi riguardo un’evidenza visibile per una condanna penale? Le leggi sulla salute mentale sono la dubbia innovazione di una società spaventata. Queste leggi permettono alle comunità di incarcerare persone con disabilità psico-sociali, quando abbiamo il sospetto che siano pericolose. Questo sospetto è sostenuto dai risultati di test di, ancora una volta, valutazioni psichiatriche molto inaffidabili e di parte. Di conseguenza, abbiamo creato due tipi di cittadinanza: i cittadini “normali” e gli spaventosi semi-cittadini. La libertà di quest’ultimo gruppo è contestata: può essere negata in qualsiasi momento, non appena sorge un sospetto di pericolosità. Considerando che la maggior parte di noi può sentirsi al sicuro e contare sui principi fondamentali dei diritti umani che rispettano la nostra libertà e la nostra integrità, c’è un gruppo nella nostra società i cui membri possono essere semplicemente reclusi senza regolari requisiti legali.
Si tratta di una perdita sconveniente nelle nostre democrazie moderne, e dovrebbe riguardare ogni cittadino. Nessun cittadino può ritrovarsi garantito nella parte 'giusta' del divario, perché i confini tra la malattia mentale e la normalità sono tempo-dipendenti e non sono dati naturalmente. In passato, abbiamo visto la 'psichiatrizzazione' dell’omosessualità, del dissenso politico e della povertà. Questo ci insegna che le leggi sulla salute mentale sono un modo comodo per disciplinare sottilmente alcune categorie di persone; molto più agevolmente e sottilmente che perseguire questi devianti in modo esplicito, attraverso tribunali penali [18]. Anche se le nostre società sono ormai da considerarsi 'di mentalità libera', o 'post-moderna', dovremmo essere sempre consapevoli del potenziale disciplinare delle leggi sulla salute mentale. Questo potenziale disciplinare può essere tossico in combinazione con il fatto atemporale, che non siamo mai consapevoli delle idee oppressive del nostro tempo.
Diamole uno scossone e abbandoniamo l’uso della coercizione in psichiatria. La paura fa afferrare immediatamente la cosiddetto 'ultima risorsa' dell’intervento coercitivo, mentre ci sono casi in cui una semplice conversazione sarebbe già di aiuto. Tale conversazione aiuterebbe anche noi, a conoscere le logiche specifiche e differenti dietro alla pazzia, e quindi a renderla un po’ meno imprevedibile e spaventosa.
Karlijn Roex è dottoranda (PhD-candidate) in Sociologia e attivista per i diritti umani. Vive in Germania.

Traduzione a cura di Erveda Sansi
[1] Human Rights Watch (2016, March 20). Indonesia: Treating Mental Health With Shackles. Human Rights Watch. Retrieved 21 March 2016, from: https://www.hrw.org/news/2016/03/20/indonesia-treating-mental-health-shackles
[2] Vedi per esempio: CRPD. (2015). Linee guida dell’Articolo 14 della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità – Il diritto alla libertà e alla sicurezza delle persone con disabilità. New York: nazioni Unite; CRPD. (2014). Commento Generale No. 1 (2014). Articolo 12: Uguale Riconoscimento di fronte alla Legge. New York: Nazioni Unite; Comitato ONU per i Diritti Umani (10 Ottobre 2015). La dignità deve prevalere – Un appello per farla finita con i trattamenti psichiatrici non-consensuali – Giornata Mondiale per la salute Mentale. Nazioni Unite. Riportato il 10 Marzo 2016, da: http://www.ohchr.org/en/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=16583&LangID=E
[3] Hudson, B. (2009). Justice in a Time of Terror. British journal of Criminology, Delinquency and Deviant Social Behaviour, 5(49), 702-717; Roex, K.L. A. & Riezen, Van. B. (2012). Counter-Terrorism in the Netherlands and the United Kingdom: A Comparative Literature Review Study. Social Cosmos, 3(1), 97-110.
[4] Berger, P.L. (1992). Sociology as a Form of Consciousness. In H. Robboy & C. Clark (edit.), Social Interaction. Readings in Sociology (pp. 6-22). Richmond: Worth Publishers.
[5] Vedi ad esempio CRPD. (2015). Linee Guida dell’Articolo 14 della Convenzione ONU delle Persone con Disabilità- Il diritto alla libertà e alla sicurezza delle persone con disabilità. New York: United Nations.
[6] Goffman, E. (1961). Asylums. Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates. New York: Anchor Books; Becker, H. S. (1963). Outsiders. New York: The Free Press.
[7] At least in Europe. See: Salize, H. J., Dressing, H. & Peitz, M. (2002). Compulsory Admission and Involuntary Treatment of Mentally Ill Patients – Legislation and Practice in EU-Member States. Brussels: European Commission.
[8] Questa strategia di silenziare le critiche è largamente analizzato dal sociologo Foucaultiano Mathiesen: Mathiesen, T. (2004). Silently Silenced. Essays on the Creation of Acquiescence in Modern Society. Winchester: Waterside Press. See also on this specific topic: Harding ,T.W. (2000): Human Rights Law in the Field of Mental Health: a Critical Review. Acta Psychiatrica Scandinavica, 101: 24-30
[9] Borrowed from Steadman, H. J. (1980). The Right Not to be A False Positive: Problems in the Application of the Dangerousness Standard. Psychiatric Quarterly, 2, 84-99.
[10] Cannetto, S. S. & Sakinosky, I. (1998). The Gender Paradox in Suicide. Suicide & Life Threatening Behavior, 28(1), 1-23 and Möller-Leimkühler, A. M. (2003). The Gender Gap in Suicide and Premature Death or: Why Are Men So Vulnerable? Eur Arch Psychiatry Clin Neurosc, 253: 1-8.
[11] Steadman, H. J. (1980). The Right Not to be A False Positive: Problems in the Application of the Dangerousness Standard. Psychiatric Quarterly, 2, 84-99; Madsen T, Agerbo E, Mortensen PB, Nordentoft M (2012) Predictors of psychiatric inpatient suicide: a national prospective register-based study. J Clin Psychiatry 73:144–151; Steeg S, Kapur N, Webb R, Applegate E, Stewart SL, Hawton K, Bergen H, Waters K, Cooper J (2012) The development of a population-level clinical screening tool for self-harm repetition and suicide: the ReACT self-harm rule. Psychol Med 42:2383–2394; Ryan C, Nielssen O, Paton M, Large M (2010) Clinical decisions in psychiatry should not be based on risk assessment. Australas Psychiatry 18:398–403.
[12] Link et al., (1999).Public Conceptions of Mental Illness: Labels, Causes, Dangerousness, and Social Distance. American Journal of Public Health, 89(9), 1328-1333; Perscosolido, et al. (2013). The ‘Backbone’ of Stigma: Identifying the Global Core of Public Prejudice Associated With Mental Illness. American Journal of Public Health, 103(5), 853-860.
[13] La popolazione dei pazienti psichiatrici ospedalizzati involontariamente contiene una sovra rappresentazione di individui con bassi redditi, neri e persone di una minoranza etnica. Guarda per esempio: Salize, H. J., Dressing, H. & Peitz, M. (2002). Compulsory Admission and Involuntary Treatment of Mentally Ill Patients – Legislation and Practice in EU-Member States. Brussels: European Commission.
[14] Goffman, E. (1961). Asylums. Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates. New York: Anchor Books.
[15] Becker, H. S. (1963). Outsiders. New York: The Free Press.
[16] Una cosa che sembra succedere abbastanza spesso nei paesi UE: see Salize et al. (2002)
[17] For instance: Large, M. M. & Ryan, C. (2014). Disturbing Findings about the Risk of Suicide and Psychiatric Hospitals. Soc Psychiatr Epidemiol, 49, 1353-1355.
[18] Guarda i differenti lavori di Michel Foucault su questo argomento

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