martedì 15 marzo 2016

Il trattamento sanitario unicamente (al 100%) su base volontaria di Sarah Knutson

Sarah Knutson

Il trattamento sanitario unicamente (al 100%) su base volontaria

https://absoluteprohibition.wordpress.com/2016/02/19/sarah-knutson-rethinking-public-safety-the-case-for-100-voluntary/ 

e originariamente apparso su: http://www.madinamerica.com/2016/02/rethinking-public-safety-the-case-for-100-voluntary/ 


Chiedamo di cessare gli interventi psichiatrici non volontari.
Si tratta di questioni complesse sulle quali si discute da tempo ed esistono opinioni  contrastanti.  Nel 2006, sono intervenute le Nazioni Unite le quali  hanno approvato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) che vieta la detenzione involontaria e gli interventi coercitivi, effettuati in base a disabilità psicosociali. Sono considerati atti discriminatori che violano il diritto alla parità di tutela. Ai sensi della CRPD, le persone con disabilità psicosociali hanno pari diritto a libertà, autonomia, dignità, consenso informato, autodeterminazione e diritto alla sicurezza personale che dei propri beni.

Poco tempo dopo, anche il trattamento sanitario obbligatorio è stato ritenuto una misura che viola la “Convenzione Contro la Tortura”: i governi dovrebbero bandire totalmente tutti gli interventi sanitari obbligatori e non consensuali effettuati sulle persone con disabilità, tra cui  psicochirurgia, elettroshock e  somministrazione di farmaci che alterano la mente, sia nel breve che nel lungo periodo. L'obbligo di porre termine ai trattamenti psichiatrici obbligatori, imposti sulla base di uno status di disabilità, entra in vigore immediatamente e il rinvio di tale misura non sarà giustificato da scarse risorse finanziarie.

Il trattamento coercitivo e l’internamento dovrebbero essere sostituiti da servizi  sul territorio che rispecchino i bisogni manifestati delle persone con disabilità e ne rispettino l’autonomia, le decisioni, la dignità e la privacy. I governi devono riesaminare le normative che consentono la detenzione e l’internamento in strutture psichiatriche a causa di una disabilità mentale ed ogni eventuale intervento coercitivo o cura senza il consenso libero e informato va abolito.

Molti di noi speravano che la questione fosse conclusa: fine del trattamento sanitario obbligatorio, chiaro e semplice. Nel corso degli ultimi anni il dibattito si è ripresentato in maniera sempre più accesa . Chiaramente molti di noi lottano duramente con queste problematiche. Esistono persone con una coscienza su tutti i fronti.

Il trattamento sanitario unicamente su base volontaria

Negli ultimi dieci anni, la comunità internazionale ha progressivamente abbandonato gli interventi coercitivi. Questo saggio è il primo di una lunga serie. Si evidenziano importanti questioni dalle quali il resto di noi dovrebbe prendere esempio. Eccole qui di seguito :

1.    Si tratta di questioni universali, non mediche.


La vita di per se è difficile e imprevedibile. Abbiamo poche certezze: la morte, la perdita, la vulnerabilità. Il dolore, la sofferenza, la malattia e i bisogni sono praticamente un dato di fatto.
Si potrebbe cercare di ridurre al minimo gli imprevisti che la vita ci presenta, mantenendo al tempo stesso la spontaneità. Questo è un impegno molto personale, cosa rappresenti per gli altri non è dato saperlo.
Ciò premesso, la collettività può e dovrebbe offrire un sostegno a tutti coloro che lo desiderano. In certi momenti potremmo necessitare di un aiuto per mantenere un equilibrio nell’affrontare 1) i problemi dell’altro; 2) avere accesso ad alternative (mediche, naturali e di comunità); 3) valutare rischi e benefici, 4) valori personali e stile di vita. Tuttavia, per far in modo che ciò si realizzi, chi aspira ad essere di sostegno deve guadagnarsi la nostra fiducia. Questo è l'approccio adottato dalle Nazioni Unite nel CRPD. (Art. 12).

2. I medici sono pessimi veggenti

E’difficile stabilire in anticipo chi possa costituire un “pericolo”. E’ noto che i medici non siano in grado di prevedere suicidio o violenza e le possibilità si riducono drasticamente nei singoli casi.

Ancora più grave è il fatto che le persone che verranno rinchiuse, non sono state accusate di un crimine, tanto meno condannate. Eppure, sulla base di deboli congetture, persone innocenti perdono  posto di lavoro, affari, carriera, casa, custodia dei figli e molto altro ancora. Ma non è tutto. Generalmente, perché si venga reclusi, occorre che ben dodici giurati indipendenti concordino all’unanimità sulla colpevolezza di un individuo, oltre ogni ragionevole dubbio. Nel sistema della salute mentale può decidere un singolo medico, che ha poco da perdere e molto da guadagnare. Per lui la cosa più semplice sarà optare per l’ingiusta reclusione. Fare errori significherebbe causare grandi sofferenze, famiglie distrutte, indagini interne, recensioni negative, azioni legali, perdita occupazionale o di reddito. Notti insonni e chiamate a casa sarebbero da prendere in considerazione.

3. Gli psicofarmaci nella migliore delle ipotesi causano problemi

Contrariamente a ciò che si pensa, rifiutare gli psicofarmaci è una scelta razionale. Anche in caso di diagnosi di malattia mentale, esistono svariate ragioni per non accettarne l’assunzione. Il discorso è valido sia per i singoli individui e le famiglie, che per le compagnie assicurative e i governi.

Nel corso degli ultimi decenni a causa del crescente consumo di psicofarmaci, la percentuale delle persone con disabilità è cresciuta in maniera esponenziale. L’assunzione, nel lungo periodo, compromette i risultati e causa  ricadute. E’ grave il fatto che nei paesi del terzo mondo (dove le persone non possono permettersi l’acquisto dei farmaci) si ottengono risultati di gran lunga migliori.

C’è da preoccuparsi anche se vengono utilizzati solo in casi di emergenza, non sono armi neutrali. E’ noto che essi possano provocare: morte, psicosi, rabbia, disperazione, agitazione, tremori, vomito, impulsività, tic, movimenti incontrollati, perdita di memoria, prurito sottocutaneo, fame insaziabile, rapido aumento di peso, ottundimento emotivo, impotenza, insonnia, sonnolenza, stanchezza, sbalzi di umore e altro ancora. Assumendo queste sostanze a molti di noi è capitato di avere tendenze suicide o impulsi violenti mai avuti in precedenza, purtroppo qualcuno è morto.

L’assunzione protratta negli anni porta a conseguenze disastrose: possibili ricadute, restringimento della materia cerebrale, obesità, diabete, insufficienza cardiaca congestizia e invalidità permanente. L’aspettativa di vita dei cosiddetti “malati mentali” è inferiore di 15-25 anni rispetto alla media e questo è dovuto, almeno in parte, all’assunzione di  psicofarmaci.

Per molti non è solo un problema di salute correlato agli psicofarmaci, parte di ciò che ci procura piacere dipende dai nostri valori. Scelte e benessere personale differiscono a seconda che si confidi nelle cure farmacologiche o nell’autodeterminazione; sia che si seguano delle regole o si pongano domande; che ci si affidi ad esperti o alla propria saggezza interiore; che si trattengano o meno le emozioni; che l’approccio sia medico o naturale e che la guarigione venga interpretata in maniera scientifica o come conseguenza di un’esperienza umana o spirituale.

Quando si parla di psicofarmaci parliamo di veleni non di farmaci qualsiasi.

4. Le alternative non vengono prese in considerazione

C’è chi ottiene i migliori risultati da approcci non sanitari (o li preferirebbe se questi venissero proposti). Esistono tantissime alternative (vedi note finali) ma purtroppo i medici, i politici e le persone in generale, non ne sono a conoscenza. Pertanto, esse vengono scarsamente proposte ed esistono pochissimi studi clinici a riguardo.

Stiamo parlando di un problema che potrebbe interessare chiunque: una persona su quattro si imbatte nel sistema psichiatrico (3); una su tre assume psicofarmaci (4) e stiamo considerando solo una minima parte di tutti coloro che sistematicamente sono coinvolti in questa lotta.

Cosa distingue il bene per l’altro dalla minaccia sociale? Mi piacerebbe pensare che si tratti di qualcosa di più della mia naturale inclinazione all’unico approccio che il medico di turno sia stato istruito ad offrire.

5. Le diversità innate non sono patologie

Le esperienze umane incidono nel profondo e si diffondono in maniera rapida. Statisticamente presentiamo svariati tratti comuni, così come valori e approcci alla vita. Ma esistono anche le eccezioni.

Dobbiamo aspettarci di essere mutevoli. La diversità, la non conformità, è la vera normalità. Essa contribuisce alla forza, all’intraprendenza e alla creatività della nostra specie. Anche a causa di ciò si possono perdere appuntamenti o posti di lavoro in un’economia che si autopromuove, basata sull’efficienza, a conduzione aziendale, non per questo la diversità è una malattia.

Al contrario, è molto più simile ad una subcultura che a una “malattia”. In realtà, decine di noi apprezzano le proprie esperienze interiori, sono fedeli a se stessi e trattano gli altri con generosità. Se diciamo ciò che pensiamo ai nostri capi e veniamo licenziati, non si tratta soltanto di impulsività, mania o disturbo. Significa invece avere il coraggio delle nostre convinzioni. Desideriamo un mondo che sia più di una semplice autopromozione, la ragione è del più forte e continuiamo ad andare d’accordo. E’ una bella immagine. Molti di noi muoiono (anche attraverso il suicidio) perché lo vogliono . Lungi dall’essere una minaccia sociale, nel 1960, il dottor King ha sostenuto che tale “disadattamento creativo” è essenziale nella nostra ricerca di un mondo socialmente giusto ed equo.

6. Si tratta di trauma, non di un problema al cervello

Il trauma è pervasivo e potenzialmente causale. Il 90% dei pazienti dei servizi psichiatrici pubblici, è sopravvissuto a qualche trauma. In effetti, tantissimi cittadini vulnerabili si ritrovano senza poter soddisfare bisogni umani primari come:

• accesso garantito a cibo e abitazione;

• sicurezza della persona e della proprietà;

• dignità, rispetto e trattamento equo;

• partecipazione significativa e voce in capitolo;

• mezzi di sostentamento per vivere e soddisfare i bisogni primari;

• opportunità relazionali, educative, professionali e culturali di crescita;

• supporto per condividere e dare un senso all’esperienza nel nostro modo di essere.

Se l’obiettivo è quello di vivere in un mondo più sicuro, raggiungerlo affrontando il trauma diventa molto più complicato rispetto alla questione “squilibrio chimico” il trauma è un problema molto più pressante da risolvere di quello degli "squilibri chimici". Questo per molte ragioni. Non siamo ancora minimamente preparati ad affrontare le implicazioni di un sistema di cura che prenda in forte considerazione i traumi. Lo affronteremo nel prossimo capitolo.

7. A conti fatti un sistema “volontario” conviene

I meccanismi principali per un mondo più sicuro esistono già. Abbiamo già un sistema di giustizia penale, con potere detentivo, libertà vigilata, arresti domiciliari, restrizione geografica, norme comportamentali sulla salute, test anti-droga, ordinanze restrittive, giustizia riparativa, etc. Abbiamo già ordini civili restrittivi, azioni legali e possibilità di mediazione. Fondamentalmente si tratta di effettuare continui aggiornamenti e renderli disponibili in modo da rispondere alle esigenze moderne.

Il denaro risparmiato optando per scelte volontarie (polizia, ospedali, tribunali, avvocati, cause legali, danni fisici a personale e pazienti, sicurezza, assicurazioni, esigenze dello staff, farmaci) sarà impiegato a tale fine. Si potrebbero trovare numerose alternative ragionevoli, efficienti e improntate alla giustizia sociale.

Potremmo investire in un sistema di giustizia penale realmente preparato per affrontare i traumi, sgravando il sistema sanitario ospedaliero da questo compito. Il cambiamento etico è comunque la soluzione migliore. Immaginate che non ci siano porte chiuse, tutti vorrebbero stare lì. In caso di violenza si chiama la polizia. Proprio come da ogni altra parte.

8. Il persistente pregiudizio nei confronti delle persone con disabilità psicosociali non è degno di una società libera.

Nei gruppi di auto-aiuto c’è un detto: “Ogni volta che punti il dito, ce ne sono tre che puntano su di te”. Per farla breve, le paure e il pregiudizio della maggioranza devono smettere di condizionarci. Questa è discriminazione e genera discriminazione.

Al giorno d’oggi, persone con differenti stili di vita, possono rischiare seriamente di provocare danni a se stessi o ad altri, in un qualsiasi momento della loro vita: agenti di Wall Street, produttori di armi, neo genitori, bevitori, bambini, adolescenti, confraternite, consumatori di Nyquil, fumatori d'erba, chi assume crack, bungee jumpers, artisti marziali, piloti, motociclisti, pattinatori, incantatori di serpenti, mangiafuoco, ginnasti, pugili, sollevatori di pesi, guardie forestali, ex detenuti, chi soffre d’insonnia, cavalieri, sciatori, diabetici che assumono zucchero, cardiopatici che guidano ... non c'è fine alla lista. Alcune persone (trapezisti, forze dell'ordine, vigili del fuoco, maghi, militari, guardie di sicurezza, paracadutisti, operatori di mezzi pesanti) vivono persino di questo.

Non c’è modo di distinguere la predisposizione a tali rischi da qualsiasi altro tipo di diversità psicosociale. Se avete necessità di riscontro di questo, sappiate che i criteri diagnostici per i cosiddetti “disturbi mentali” sono così inutili che i CMS (sistemi gestionali), nel 2013 li hanno rigettati e chiedono alla APA (American Psychiatry Association) di cominciare da capo.

Dovunque, tranne che in un ambulatorio psichiatrico, coloro che vengono considerati come possibili cause di allarme avrebbero i seguenti diritti: giusto processo, stessa tutela, libertà, privacy, sicurezza personale e della proprietà, libertà di parola, libertà di associazione, libertà di movimento, diritto alla stipula di contratti, processo con giuria e diritto al risarcimento. E se ne ha maggior bisogno quando non si ha commesso alcun reato e si sta semplicemente vivendo il peggior giorno della propria vita.

In una società che si definisce libera, la pubblica sicurezza ci dovrebbe riguardare tutti. Va quindi da sé che i destinatari del servizio sono tutti quanti. La paura e il pregiudizio sarebbero considerate la vera minaccia sociale. Le persone che utilizzano i servizi psichiatrici non avrebbero bisogno di essere protette da persone come te.
Quindi per cortesia finitela di rinchiuderci dicendo che lo fate per il nostro bene. Questo porta ad allontanarci dalla vera questione: se i servizi son così efficienti, perché non tutti vogliono utilizzarli?

Ecco la prova del nove. Pensate alla vostra ultima crisi. Avete usato questi servizi ? Son stati utili, è stata una soluzione valida?

Prima di dire: “No, ma io non sono [pazzo, povero, privo di assicurazione ...]”, fermatevi. Provate a dire, invece: “No, ma io non sono umano”.
Ha un suono diverso, vero?

Questo post è un contributo alla Campagna per il sostegno del Divieto Assoluto del TSO nel CRPD.  Per vedere tutti i post del blog Mad in America clicca quì.
 

Sarah Knutson è un ex-avvocato, ex-terapeuta, sopravvissuta ed attivista. E’una delle organizzatrici della Campagna “Wellness & Recovery Human Rights”. Si può contattarla al Virtual Drop-In Respite, una comunità online gestita da volontari e pari che funziona come una “famiglia umana” e che promuove i diritti umani.

Traduzione a cura di Cristina Paideri, come contributo alla Campagna per il divieto assoluto del TSO


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