martedì 22 marzo 2016

La foresta dei bonsai di Irene Majer

LA FORESTA DEI BONSAI

Una critica volevo rilevare,
ma reagendo ho rischiato di sbagliare:
far capire la mia e altrui situazione,
per voi forse, è soltanto un’illusione!
Ciò che conta è per voi la “realtà”,
“l’oggettivo” che si vede! Chi lo sa?
Dite che uso assai troppa teologia,
o che azzardo ad inventar psicologia.
Che ne ho fatto del mio studio e del sapere,
della mia esperienza e del mio “sedere”
sulla sedia, della mia università,
e dell’analista, boh, e chi lo sa?
A me sembra di svuotarmi ogni giorno,
e di star lo stesso al suòl del non ritorno!
Non vorrèi mai certo allora sostituire,
il mio modo, il mio pensiero, col vostro agire!
Pur di mantenere l’ordine corretto,
poi si viola l’altrui libertà e il “soggetto”.
Meritevoli voi siete e combattivi,
sempre pronti a raggiungere obiettivi,
io però, non sono solo puro fare,
la mia mente ha tantissimo da dare!
La persona non è solo simpatia,
per conoscerla, si deve far psicologia!
Non si può incasellarla in degli schemi,
altrimenti “noi” sarèmmo degli “scemi”,

che -per essere accettati finiremmo,
di nègar- a noi e a voi,- il valor interno:
quel che abbiamo- sia nel cuore e nella mente,
che non interessa proprio all’’altra gente,
quel che ci è rimasto, -agli altri, -di noi dare,
e che sempre- poi dobbiamo sacrificare!
Sull’autonomia fatidica- che dire?
Non esiste nessun uomo -che possa agire,
senza un altro- che lo stia ad ascoltare,
che lo ami, e che gli dia anche -da mangiare!
Tutti Siam uniti dall’’altrui presenza,
senza il panettiere, -non si può far pietanza,
senza il contadino, la frutta, non si mangia,
rimarrebbe -anche digiuna -la mia pancia!
Non si può- fare apparente psichiatria,
confondendo- con la microchirurgia:
se il coltello- esiste forse per sgozzare,
serve il bisturi -soltanto per salvare!
Son d’accordo, -con la psicologia attiva,
non però,- su quella forse -retroattiva,
che ti mette -nella brutta condizione,
di doverti- adattar alla condizione,
di forgiarti -tuo malgrado a piacimento,
al sistema,- e a chi ha inventato- sto talento!
Ciò di cui abbiamo bisogno, - è l’espressione
Del “noi” tutto- e della nostra condizione,
cioè, viviamo da una vita, allo sbaraglio,
di una società -che mette sempre- al “vaglio”,
lo sbagliato- o esagerato- nostro agire,
anziché -sprecare tempo -per “capire”,
ciò che infondo- è rimasto di noi stessi,
Anziché voltarsi, e crederci -dei “stupidi”!
Anche -senza autonomia, noi possiamo,
“esser” sempre, - e dare quello- che pensiamo,
“producendo”, sì,- non necessariamente,
ma “parlando”- con la bocca -e con la mente,
scomodando l’altrui “mondo”- che sta fuori,
per conoscere -chi per la società -è “fuori”!
Chi ha scomposto- i nostri schemi razionali,
e chi ha violato -quelli materiali,
non si vuole -prender la -sua bel coscienza,
soppesando -invece la- “disobbedienza”!
Noi siam -laureati in mille ed altre- cose,
che la scienza poi -considera obbrobriose.
Per me vivere -non è stato proprio -“fare”,
ma piuttosto, quasi solo, il “pensare”.
Col pensiero -si raggiunge conoscenza,
forse -solo empirica, e senza l’esperienza.
Il pensiero -è qualcosa di “reale”,
perché l’uomo -è stato fatto per pensare,
sull’agire -siamo men -specializzati,
perché nella mente- troppo “incasinati”!
Ma sapremmo -certo scriver- molti libri,
che teniamo- altrui nascosti -da “squilibri”,
troppe cose, forse è questo, noi sappiamo,
se le riveliamo, -prima o poi -impazziamo!
Anche noi- abbiamo vissuto -una vita,
che per gli altri- non è proprio -ben gradita,
E’ pur certo- un’esistenza -alternativa,
dignitosa,- a mio parere,- in definitiva,
non -nel “senso”- o nella sua apparenza,
ma- nell’interiorità- e dentro la coscienza.
Se si crede- a ciò che dico,- guariremo,
se si “abbatte”,- certamente stupiremo,
perché,
se poi,- ci volete voi -“forzare”,
non possiamo- fare a meno -di reagire,
demolendo,- in un sol colpo, -il lavoro,
su di noi,- e, sulla scienza -di costoro.
Tutti gli uomini -ci tengono alla vita,
e’ pur vero -che la libertà trascende,- ed è infinita,
guai a quello- che cocciuto -“manomette”,
è più conveniente- che -poi ci riflette!
Anche se -“malati” o fragili,- noi siamo,
lo sapete,- come poi,- ci difendiamo!!
Che dovete poi -ricorrere alla forza,
per scalfire -questa “trasparente- scorza”,
Che, da tempo, -noi ci siamo -costruiti,
Per -non apparire proprio- dei falliti!
Tal -non siamo,- ve lo giuro e ve lo dico,
Guai a chi accusa -anche solo- con un dito!
Se -non siamo poi capaci -di sbarbarci,
O -di mettere da parte- i nostri “stracci”,
per i quali -vi schifate veramente
sol -di prendere un mutando- con la “mente”,
poi l’idea di sporcar- le vostre mani
vi tramuta -in indifferenti -disumani,
che volendo -noi, per dire, -“stimolare”
ricadete -nella trappola- del “fare”,
Non è frutto- della maleducazione,
ma soltanto,- della nostra sedazione!
O il malessere- è talmente insostenibile,
Che noi certo- non pensiamo Al’improponibile!
La patata -è quella mia- o è quella tua:
responsabilizzarsi,- e così sia!
Se c’è -un’incapacità -oggettiva,
che ci limita -ci assorbe l’energia,
che vi frega -della nostra -mala-“mente”,
l’importante -è “dover”- stare bene con la gente!
Siamo soli- nella nostra situazione,
alla quale-proponete- soluzione:
reintegratevi -lavorativamente,
o soltanto- imparatelo- socialmente,
poi -dei nostri stati d’animo -e dolori,
chi potrà -dare risposta- ai nostri cuori?
Certo voi -potete solo -e solamente,
Rinsegnarci la pseudo-disciplina -più coerente,
ma coerente- con il mondo- che “sposato”,
resta sempre -relativo -al vostro “stato”,
di persone -che non hanno- mai avuto,
l’esperienza- che può fare -un sordomuto,
un barbone- puzzolente -suo malgrado,
perché -si è giocato tutto- con un dado!
Sulla dignità -che dire, nossignori?
Voi non siete certamente tra i migliori!
Sol perché andar dal parrucchiere,
ti preserva assai più il tuo “sedere”,
da attacchi risaputi di violenza,
o di invidia o addirittura riluttanza,
come se la nostra strana condizione,
ce la siam voluta noi soltanto per passione!
E’ una vita che noi siam subordinati
Vigilati, chiusi a chiave e visionati,
come “casi” incomprensibili sbagliati,
che non sanno come son da voi pensati:
anormale forse produttivamente,
sol perché sembro a voi un’incoerente,
ma la rabbia che esce fuori è tutta vita,
che con gli anni è stata proprio avvizzita.
Non sappiamo sopportare il dolore?
Non riconosciamo pur l’altrui valore?
Non è vero! La finite di trattarci,
come a voi subordinati ed incapaci,
forse per capriccio o assai pigrizia,
o se è stato qualche cosa che ci vizia.
Voi le ossa ce l’avete,
ora tocca a noi, poi si vede.
Non sapete che, così facendo,
arginate con un velo un forte vento,
quello della repulsione difensiva,
di chi è stato deprivato della stima,
del valore gli è rimasto avvizzimento,
negazione del suo sé, con l’andar del tempo,
che è passato a crogiolare un corpo andato,
nello sbriciolarsi dentro al fato.
irene mayer

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