martedì 18 agosto 2015

"Il giudice e lo psichiatra" di Giorgio Antonucci


Dal sito No! Pazzia! www.nopazzia.it copiamo e condividiamo:

Giorgio Antonucci: Il giudice e lo psichiatra 

Rivista Volontà, Delitto e castigo, 1994

Non ci sono furti od omicidi frutto una volta di saggezza e l'altra di pazzia, perché non ci sono né la saggezza né la pazzia, ma soltanto scelte motivate da diversi punti di vista e da differenti concezioni del mondo. Con questa disarmante tesi Giorgio Antonucci attacca il sistema penale e quello psichiatrico spesso uniti nel segregare l'individuo. Una tesi che può sembrare ardita ma che Antonucci argomenta con i dati fornitigli dalla sua lunga esperienza di psichiatra. Antonucci, dopo aver lavorato all'ospedale psichiatrico di Gorizia con Franco Basaglia, oggi presta la sua opera all'istituto L'osservanza di Imola. Per i tipi di Elèuthera ha pubblicato Il pregiudizio psichiatrico (1990).

[Nota di NO!PAZZIA: ora anno 2002 Giorgio Antonucci è in pensione nella sua Firenze; altri brani e notizie di Giorgio Antonucci in NO!PAZZIA nel settore "PUNTI DI RIFERIMENTO"]



Il giudice e lo psichiatra di Giorgio Antonucci


Molti credono che la malattia di mente sia un particolare stato patologico dovuto a un qualche difetto dell'organismo o del cervello che comporta la difficoltà di vivere quietamente con gli altri, e pensano che gli psichiatri siano i medici chiamati a trattare questa singolare condizione di svantaggio, altrimenti dannosa e insopportabile per chi ne è colpito, e preoccupante per chi gli sta dintorno.
Essendo le contraddizioni psicologiche e i conflitti con se stessi e con gli altri un aspetto fondamentale della nostra condizione di uomini, gli psichiatri e gli psicanalisti hanno naturalmente un sicuro terreno di redditizio e meritevole impegno, che li pone concretamente in una situazione favorevole di privilegio sociale.
Alla televisione, alla radio, sui giornali e sulle riviste, psichiatri e psicanalisti si pongono in modo disinvolto come gli apostoli della saggezza e della gioia di vivere che a volte può essere raggiunta e mantenuta quasi magicamente anche con pillole comprate in farmacia su loro sapiente indicazione. Chi
si sente ragionevolmente infelice ha qualcuno che lo capisce o ancora di più qualcuno preparato ed esperto che può essergli di aiuto provvidenziale con le scienze misteriose della psicologia e le ricette veridiche della salute.

Il mito della gioia chimica è coltivato da loro e da altri medici anche con vantaggio dei produttori e spacciatori di droghe clandestine che usufruiscono direttamente o indirettamente dei loro messaggi culturali e della loro concezione dell'uomo.
I filtri come liberazione dell'uomo sono motivo di facile successo. Il mito dei paradisi artificiali per opera dei medici è divenuto un fenomeno dì massa. Mentre la condizione umana, già di per se stessa tragica, diventa in termini sociali sempre più terribile, si moltiplicano le fughe nelle promesse di felicità della chimica ufficiale e della chimica proibita. I farmaci e le droghe, sostanze neurotrope legali o illegali corrono a fiumi.
Altri invece, se sono in condizioni economiche adatte, passano mesi o anni sul lettino o nello studio dello psicanalista, che promette ricerche, approfondimenti o soluzioni con vie di introspezione risolutive. La solitudine sociale favorisce la richiesta di comunicazione a pagamento, anche se si tratta di una comunicazione di secondo ordine, astratta, impersonale e fondata su idee precostituite. Inoltre è una comunicazione ambigua e somiglia a un pozzo senza fondo come molti sanno per esperienza.
Eppure il problema è ancora più complicato. Ecco infatti che cosa dice Michael Moore, docente di diritto penale dell'università del Kansas, sul significato del concetto di malattia di mente in un articolo su una rivista americana di psichiatria: «Dato che la malattia mentale nega i nostri presupposti di razionalità non riteniamo responsabili i malati di mente. Non tanto perché li scagioniamo da una situazione che, a prima vista, è di responsabilità quanto, piuttosto, perché, trovandoci nell'impossibilítà di considerarli esseri completamente razionali, non possiamo affermare la condizione essenziale per incominciare a considerarli anzitutto come agenti morali. In questo i malati di mente raggiungono, in modo decrescente, il livello dei bambini, delle bestie selvatiche, delle piante e delle pietre, nessuno dei quali è responsabile a causa dell'assenza di qualsiasi presupposto di razionalità».
Così si scopre, senza possibile dubbio, che qualsiasi problema che si va a discutere con lo psichiatra, con lo psicanalista, con lo psicologo o con l'assistente sociale può essere, quando convenga a loro, o quando sia utile a quelli da cui loro dipendono, esaminato e giudicato come pretesto di invalidazione psicologica ed, eventualmente, ad arbitrio del giudice, usato come motivo sufficiente per la sottrazione dalla responsabilità giuridica e per la privazione dei diritti civili e politici con la degradazione da cittadino uguale agli altri a individuo squalificato, senza potere alcuno e senza alcuna possibilità di espressione o voce in capitolo. Perfino il periodo mestruale può servire per squalificare una donna nelle sue scelte.
Ma lasciando per ora da parte queste raffinatezze psicologiche di stile vittoriano veniamo per un momento al nocciolo della questione:
L'invalidazione psichiatrica e giuridica possono essere date per piccoli reati come il furto di autoradio o l'offesa a pubblico ufficiale o per grandi reati come ad esempio l'omicidio. Ma sullo stesso reato della stessa persona, come per esempio l'uccisione dei genitori (come nei casi giudicati diversamente di Roberto Succo (*) e di Pietro Maso (**), il parere dei differenti, periti è quasi sempre discorde.
In tutti i processi ci sono sempre pareri opposti sullo stesso imputato e sul medesimo reato. Come è logico, per lo più il pubblico ministero sostiene che l'imputato è sano di mente per ottenere la condanna giuridica mentre il difensore chiede il riconoscimento di infermità di mente anche se il manicomio giudiziario per l'imputato è una sorte più tragica del carcere. Le perizie però sono in ogni caso senza fondamento.
Infatti non ci sono il furto di radio o l'omicidio frutto una volta di saggezza e l'altra di pazzia,ma soltanto scelte motivate da diversi punti di vista e da differenti concezioni del mondo.Che poi un reato sia giudicato piu' o meno grave a secondo le circostanze, le intenzioni, l'esecuzione, la premeditazione, le passioni, il grado maggiore,o minore di lucidita' del momento o nell'intera storia con possibili attenuanti e aggravanti e conseguenti variazioni di pena e' un puro fatto giuridico e processuale che puo' essere indipendente ed estraneo a ogni pregiudiziale psichiatrica e a ogni intervento specialistico.


La normalità

Ma ora vediamo: che cosa vuol dire normale?
Sentiamo una storia raccontata dalla rivista Panorama del 7 gennaio 1994. Si potrebbe dire una storia di regole e di morte ma anche un esempio di normalità dei costumi. Il titolo è attraente, La bella l'amante e la bestia, il sottotitolo è narrativo: Così morì Antonella.
iL fatto è cronaca (pagine 58-59). Seguiamo la conclusione dell'avventura con le precise parole con cui è riferita perché è ricolma di contenuti caratteristici e interessa tanto per le vicende quanto per il tono con cui sono offerte al lettore.
«Quando lui Vincenzo Milazzo, ormai un boss con una lunga esprienza in materia di traffici e omicidi, promosso capo della famiglia di Alcamo, finisce per deludere la fiducia del capo dei capi,Toto Riina e firma la propria condanna a morte. E lei? La mafia la teme. Non le lascia scampo. Forse Antonella sa qualcosa che non dovrebbe sapere. Totò Riina in persona sentenzia davanti a tutta la cupola: deve morire Vincenzo Milazzo, incapace di fermare l'ascesa di un clan nemico, quello dei Greco. E deve morire anche la sua donna, custode di chissà quali preziose informazioni. Per eliminare i fidanzatì, il boss dei boss spedisce a Castellammare del Golfo, il paese dove abita Antonella, sei giustizieri tra i suoi fedelissimi: Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Gioacchino La Barbera, Antonio Gioè, Francesco Denaro e Gioacchino Calabrò, come racconta un nuovo pentito ai magistrati di Palermo. Nel luglio dello scorso anno, col pretesto di un incontro chiarificatore, Vincenzo Milazzo, alla macchia da mesi, viene condotto in un luogo isolato. Lo finiscono con un colpo di pistola. Ad Antonella Bonomo, incinta, i sicari riservano la sorte più crudele: incaprettata, muore per strangolamento. Seguendo le indicazioni del pentito, i poliziotti hanno trovato nei giorni scorsi i due cadaveri, chiusi in sacchetti di plastica, alle porte di Castellammare, in una cava trasformata in cimitero della mafia. E la morte di Antonella Bonomo, punita per via di un amore invincibile, sacrificata col suo bimbo in grembo alla regola di Totò Riina, è diventata l'ennesimo capitolo sanguinario della storia di Cosa Nostra. Perfino la mamma di Antonella, che ha sempre contrastato quel fidanzamento, perfino le sorelle, che tuttora rifiutano la notizia della gravidanza, parlano, in lacrime, di un amore forte come il destino. Solo il parroco di Castellammare, don Giuseppe Navarra, durante i funerali non ha trovato di meglio che definire Antonella Bonomo una peccatrice. Non perché la ragazza avesse giurato fedeltà a un boss. Ma perché stava per dargli un figlio fuori del matrimonio».
Se si deve parlare di ferocia sarebbe difficile a mio parere fare una classifica tra Riina, i politici che lo hanno appoggiato, o il parroco di Castellammare di cui si racconta. Se si deve parlare di follia qual è ladifferenza tra Riina e il mostro di Firenze?
Eppure quell'illustre psicoanalista svizzero che per televisione invitava il mostro di Firenze a presentarsi a lui per farsi curare e per fornire un caso interessante alla scienza non trova che i killer della mafia siano altrettanto attraenti per le sue ricerche psicodinamiche. Ma i rapporti tra il potere politico ufficiale e i poteri di mafia e camorra non sono soltanto convergenza di interessi, ma anche identità di valori e affinità di concezione del mondo come dimostra il parroco di Castellammare che ha lo stesso concetto della donna e della morale sessuale di Riina e dei suoi. Ed è anche il concetto di quelli che cercano il difetto genetico nei consumatori di droghe proibite o studiano sulle tare ereditarie dei coniugi che divorziano o delle coppie di sposini infedeli,come accade in Italia, negli Stati Uniti e in altri civilissimi paesi emancipati.
Il moralismo è la stampella dei potenti e il cavallo di battaglia degli psichiatri in un mondo oscuro senza etica.E una societa' burocratica senza individui per una specie che sfiora l'estinzione.
E mentre lo stupro e' uno strumento di guerra a disposizione dei governi il singolo puo' essere internato in clinica psichiatrica per problemi d'insonnia,o chiuso in comunità terapeutica per questioni di spinello, o trovarsi in manicomio giudiziario per offesa a pubblico ufficiale.


Il diavolo di Machiavelli


Francesco Bacone apprezzava Niccolò Machiavelli per aver descritto gli uomini come sono e non come dicono di essere o come vorrebbero apparire, ma proprio per questo l'acuto fiorentino indagatore si è guadagnato secoli di fraintendimenti e di calunnie, sia da parte di uomini di di stato, sia da parte di uomini di ogni tipo, a cominciare dagli storici e dai filosofi. Del resto Belfagor, nella favola di Machiavelli, in visita sulla Terra, a Firenze, arriva ad abitare in Borgo Ognissanti, in vista dell'Arno, e vive nel mondo e si sposa, per poi rapidamente pentirsene.
Scrive Machiavelli: «Dichiarossi ancora che durante detto tempo ei fussi sottoposto a tutti quegli disagi e mali che son sottoposti gli uomini, e che si tira dietro la poverta',il carcere,la malattia, e ogni altro infortunio nel quale gli uomini incorrono, eccetto se con inganno e astuzia se ne liberassi. Pressa adunque Belfagor la condizione e i denari, ne venne nel mondo; e ordinato di sua masnade cavagli e compagni entro onoratissimamente in Firenze: la quale citta innanzi a tutte le altre elesse per suo domicilio, come quella che gli pareva più atta a sopportare chi con arte usurarie esercitassi i suoi "denari". Ma presto ritorna volentieri all'inferno. E alcuni dicono che all'inferno, quando descrive la vita degli uomini e delle donne, non viene creduto, e subito dopo viene degradato a diavolo semplice tra la derisione dei colleghi. E vivacchia il resto dei giorni da malinconico arcidiavolo fallito. Non piu' ricevuto alla corte di Plutone.
Il fatto è che gli uomini usano in abbondanza gli schermi e gli inganni del linguaggio sofistico e le trappole seducenti del pensiero dialettico, per vedersi differenti da quello che sono, tanto sono preoccupati e tanto sono spaventati dalla propria terribile e paurosa complessità, e tanto cercano per vivere quietamente (cosa in cui poi non riescono affatto) che si nascondono in ogni modo a se stessi.
Così la vita sociale è fatta di categorie artificiali astratte che non corrispondono per nulla alla natura effettiva degli uomini ma finiscono per regolarne arbitrariamente i comportamento e le azioni, condizionandone in ogni modo il destino.
La società organizzata,strutturata su modelli autoritari, sostituisce la ricchezza creativa degli individui con alcune semplificazioni convenzioanali,che divengono in pratica rigorosi principi di cultura, che risulta difficile mettere in discussione, e che sono accettati senza sospetto per secoli interi. Cosi' e' stato per millenni con i pregiudizi morali come con i pregiudizi psicologici, che restano ancora, nonostante tutto, imperanti e solidamente radicati, e diffusi, e difficili a scalfirsi.
Naturalmente i pregiudizi e le paure sono utili ai detentori del potere che provvedono, mediante gli intellettuali sottomessi, a coltivarli.
Pero' Immanuel Kant scriveva a buon diritto che se la liberta' esiste non vi sono limiti che le si possano porre.
Il sistema nervoso è la struttura fisica più complicata tra tutte quelle conosciute da noi nell'universo (dalle pietre e i pesci delle acque alle galassie e i pianeti del cielo) e, per quello che sappiamo, è il massimo della complicazione esistente biochimica e biologica in tutte le categorie dei viventi; ed è al centro di quelle attività di relazione che hanno costruito e costruiscono civiltà intere e differenti culture, ognuna diversa dall'altra, e ciascuna ricca di individui originali e irripetibili dai punti di vista essenziali della creazione e invenzione di nuovi significati.
La neurobiologia rivela ogni giorno di più, con le sue ricerche sempre più accurate e sottili, la vastità sconfinata del suo complesso oggetto di studio, lontano anni luce da qualunque possibilità di semplificazione meccanica, o di descrizione riduttiva.
Un cervello artificiale per ricchezza strutturale non è paragonabile nemmeno a una singola cellula sia che si tratti di un protozoo o di un protofita sia che si tratti di un neurone o di una cellula epatica. Non è paragonabile nemmeno a un virus.
Il vivente ha un grado di complessità che risulterà sempre maggiore quanto migliori e più fini saranno le nostre capacità tecnologiche e quanto più numerose e precise le nostre informazioni scientifiche.
Nello studio dei problemi degli esseri viventi è fondamentale il problema del rapporto tra la vita e la morte, e nell'uomo è utile considerare con attenzione l'influenza che questo rapporto esercita in continuazione sulla vita interiore, sulla coscienza, sul comportamento degli individui e sulle culture e società che gli individui, di epoca in epoca, costruiscono, rivoluzionano, estinguono.
Alle questioni dell'omicidio, dell'eccidio e del genocidio di recente si è aggiunta in termini concreti e realistici la possibilità effettiva della demolizione intenzionale della specie da parte di alcune determinanti istituzioni di potere.
E forse l'operazione comporterebbe la fine della vita sulla Terra. Non è molto che i giornali hanno parlato del computer messo a punto dal governo sovietico, e ora in mano del governo russo, che, in caso di attacco atomico americano o di altre potenze ostili, in assenza di istruzioni per la morte totale nel suo territorio, entrerebbe in funzione da solo per distruggere il resto del mondo.
Impropriamente i mezzi di comunicazione di massa ne parlano a volte come eventualità di suicidio collettivo quando invece sarebbe un genocidio totale, deciso e procurato da alcumi organi di potere che dispongono delle armi. Sarebbe identico parlare di suicidio a proposito dei campi di sterminio.
Le guerre, da sempre inutili, hanno contenuto e contengono ogni tipo di ferocia. E' attuale lo stupro come strumento e arma di stato. La tortura, per ragioni belliche o poliziesche, ha aggiunto ai vecchi mezzi nuove sottigliezze.
La psicologia artificiale della distinzione arbitraria tra comportamenti saggi e comportamenti folli o tra sani e malati di mente, oltre che a essere inseparabile dalla realta' dei manicomi come luoghi di soggiorno obbligato in rapporto al trattamento sanitario obbligatorio, e' motivo di segregazione arbitraria di molte persone in istituti psichiatrici giudiziari per lo piu' per piccoli reati perseguibili senza detenzione e puo' essere utilizzata da persone potenti per sottrarsi al corso normale della giustizia.
Inoltre impedisce la conoscenza dell'uomo e maschera i reali conflitti dell'individuo con la societa' in cui vive, in cui sviluppa e cerca la sua singolarita'.
Così l'individuo attivo perde di vista la sua ricchezza creativa e rischia l'estinzione con conseguente decadenza della cultura e impoverimento della specie.
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Giorgio Antonucci (in "Volontà", 1994)
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Note [aggiunte da No!Pazzia]:
(*) Roberto Succo, a diciannove anni uccide nel 1981 a Mestre i suoi genitori, prima sua madre poi suo padre, un poliziotto. Condannato all' Ospedale Psichiatrico Giudiziario, riesce a sfuggire e si rifugia in Francia, lasciando come misterioso serial killer una scia di ispiegati omicidi, stupri, aggressioni, rapine. Solitario invisibile sarà di ispirazioni a inchieste e recentemente libro e film. Individuato su segnalazione dalla sua ragazza - secondo il libro e il film -, è considerato nemico pubblico numero uno in Svizzera Francia Italia. Catturato, è trovato morto in carcere nel 1988 - a ventisei anni.
Libro: Pascale Froment "Je te tue. Histoire vrai de Roberto Succo, assasin sans raison" - edit. Gallimard
Film ."Roberto Succo" regia Cedric Khan - presentato al festival di Cannes 2003

(**) Pietro Maso, a venti anni, in una situazione economica familiare e locale - nord italia - non disagiata, uccide (1991) a sprangate il padre e la madre ancora ben validi, facendosi aiutare da due amici; motivo dichiarato ereditare tutto e subito. Vedi ampia descrizione e considerazioni di uno psichiatra perito giuridico del caso : Vittorino Andreoli: Delitti -BUR 2003, pag 21- 63. Secondo V.Andreoli è stata determinante la "cultura del bar" locale, il prestigio predominio da mantenere in tale "cultura del bar", il voler una automobile nuova .. . Al processo riconosciuto sano di mente e condannato a 30 anni di carcere normale.

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