mercoledì 12 settembre 2018

Giorgio Antonucci. L’importanza di Dante



Intervista a cura di Erveda Sansi

Parlaci di Dante Alighieri! – Chiedono alcuni amici, provenienti da Bruxelles, Oviedo e Milano che a Firenze incontrano Giorgio Antonucci, dopo la visita alla casa natale di Dante. Di seguito uno stralcio della conversazione, trascritta qui da Vincenzo Iannuzzi.

Dante è importante perché la lingua italiana si riferisce ancora a lui, nel senso che se uno legge la Divina Commedia, a parte le difficoltà dovute all’interpretazione di certe cose che sono dei tempi passati, però la lingua “Nel mezzo del cammin di nostra vita” è precisa, si parla ancora così. Cosa singolare, perché per esempio gli inglesi attuali non leggono Shakespeare nell’originale, perché la loro lingua è cambiata. Per gli italiani, ora non so dire il perché, la lingua è rimasta collegata a Dante, perché è cominciata con Dante, è diventata la lingua nazionale e continua a essere attuale tuttora. Benigni può recitare Dante in un teatro e tutti lo possono ascoltare e capire, perché la lingua non è cambiata. Questo per quanto riguarda la lingua. Lascio stare il discorso della poesia in questo momento, ma per quanto riguarda il pensiero, Dante ufficialmente è cattolico. Però le sue idee sono tutte originali, lui va per conto suo. Nella pratica Dante, siccome fu eletto priore, viene mandato come delegato a Roma, perché il Comune di Firenze vorrebbe sottrarsi all’influenza del papa. Firenze è un Comune, come del resto Bruxelles, che si è formato allora, nel duecento. Questo Comune fa fatica a mantenere la propria indipendenza dall’influenza dell’imperatore e del papa. Dante va a Roma e dice al papa tutto quello che pensa. Il che significa che, per gli intrighi che ci sono, il papa ha aumentato il suo potere su Firenze e quando Dante vuole rientrare glielo impediscono condannandolo a morte. Tra l’altro con una scusa assurda: lo fanno condannare a morte come se avesse fatto delle speculazioni, come se avesse preso delle tangenti, quando Dante è assolutamente al di fuori di queste cose. Era stato priore, si era occupato anche dei lavori pubblici e aveva fatto tutto correttamente, ma lo accusano di aver fatto delle irregolarità. Allora comincia il suo esilio. Ad un certo punto dell’esilio, la Repubblica di Firenze gli offre di rientrare se scrive una lettera in cui si dichiara colpevole e si pente. Lui risponde che a Dante Alighieri nessuno dice di dichiarare il falso per rientrare in città. Allora lo ricondannano a morte una seconda volta, riconfermano la condanna a morte e implicano anche la famiglia, che deve scappare. Così è stato condannato a morte due volte.
In lui è interessantissimo il suo pensiero, se ne potrebbe parlare a lungo; è assolutamente originale. Come per esempio nel personaggio di Catone che si è ucciso per non sottomettersi. Catone Uticense è un suicida e secondo la chiesa cattolica il suicida va all’Inferno. Siccome Catone si è ucciso per la libertà, Dante lo mette nientemeno che in testa al Purgatorio [come guida], invece che metterlo fra i dannati. Infatti c’è quella famosa espressione che Virgilio dice a Catone parlando di Dante: “Or ti piaccia gradir la sua venuta, libertà va cercando ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. Cioè in pratica dice che uno si uccide per difendere la propria libertà. Il che non è affatto corrispondente alla dottrina cattolica, assolutamente. Anzi, è una cosa molto moderna, nel senso che è un concetto moderno. Che il suicidio sia una rivendicazione di libertà si trova in Federico Nietzsche, si trova in Leopardi e tanti altri. Questo per quanto riguarda soltanto un aspetto del suo pensiero, poi se ne potrebbe parlare all’infinito.

– Bello! Se ne parlava prima, ma non avevamo tutte queste informazioni.

Dante doveva cambiare sempre posto; infatti ha girato tanto, non solo perché non era d’accordo con quelli con cui si trovava e cambiava città, ma anche perché c’è una tradizione che dice che quando avevano condannato a morte qualcuno, dalla Repubblica mandavano i killer per eseguire la condanna; allora il condannato doveva cambiare sempre posto per non farsi trovare. Per collegarlo col mio lavoro, Dante lo prendo sempre come esempio di un autore classico, sia in senso filosofico che in senso culturale e poetico, che rivendica il suicidio come un atto di libertà. La psichiatria considera il suicidio come un’alienazione. Lui invece (e come già prima di lui gli stoici, Seneca e tanti altri) considera che senza la possibilità del suicidio non si sarebbe liberi. Perché noi, anche in condizioni estreme, come quando uno viene torturato, sapendo che ci si può sottrarre, ci sentiamo liberi. Per esempio quando un partigiano viene preso dai tedeschi, vien torturato e potrebbe parlare, si uccide per non parlare. Ecco, ci si può sottrarre. Questa possibilità di sottrarci ci rende liberi. Nel senso che fintanto che la viviamo, la vita l’abbiamo accettata. Perché si può anche non accettarla. E questo è il nocciolo della libertà. Questo lo diranno poi altri filosofi moderni, ma Dante l’ha già centrato a quel tempo lì.
Ora, la questione è complicata perché c’è anche il girone dei suicidi all’Inferno. Però intanto il concetto – anche per loro che magari si sono uccisi per un motivo diverso da quello di Catone – è il fatto che essere all’inferno significa che hanno fatto una scelta non gradita al padreterno, ma è sempre una scelta, che può esser giudicata positiva o negativa. Non è il concetto moderno della psichiatria, che se uno si suicida è perché non è più capace di scegliere, perché è alienato.

Nell’opera di Dante c’è una delle più grandi descrizioni della sua epoca tutta intera, una quantità di informazioni che nessun altro ha eguagliato. Già questo lo rende grandioso.

Sì, sì; è un’opera che comprende tutto il Medio Evo e c’è anche l’annuncio dell’epoca nuova. Per esempio nel Canto di Ulisse, l’Ulisse di Dante, (non quello di Omero che è un’altra cosa) arriva alle colonne d’Ercole e, quasi in anticipo su Cristoforo Colombo, oltrepassa le colonne d’Ercole nonostante fosse proibito, perché lì c’erano i limiti imposti dall’alto, e poi fa naufragio. Anticipa l’epoca moderna, perché per Dante Ulisse è l’uomo che non è mai stanco di conoscere, va sempre oltre. È quello che per esempio con Goethe si chiamerà l’uomo faustiano. Per cui in Dante c’è anche l’epoca moderna. È detto molto meno dai commentatori che Dante è l’inizio del Rinascimento, ma basterebbe questa storia di Ulisse. Ulisse si prende ancora come modello, quando si fanno i programmi scolastici, di quello che va cercando sempre oltre, mentre l’Ulisse di Omero non cerca oltre, è trascinato dalla sventura, lontano da Itaca dove vorrebbe ritornare. È un’altra cosa. Invece in Dante è Ulisse che lascia Itaca, dove è già arrivato, che prende il mare, arriva alle Colonne d’Ercole, va oltre, fintanto che viene travolto dal fatto che la conoscenza, se uno va sempre oltre, lo travolge.

– La conoscenza produrrà Giordano Bruno…

C’è Giordano Bruno e ci sono anche tutti i navigatori, che aprono sul futuro. […] Perché nel Canto ventiseiesimo dell’Inferno dice: “Considerate la vostra semenza, fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. Virtute è, in senso latino, il valore. Questo è un concetto contemporaneo, nel Medio Evo non esiste. C’è poi la coincidenza (e forse non è una coincidenza), che le carte geografiche usate da Cristoforo Colombo siano state fatte qui a Firenze, da Paolo dal Pozzo Toscanelli, il quale ha sbagliato, nel senso che vedeva il mondo più piccolo. Queste carte le aveva Colombo che forse, se avesse visto il mondo grande com’è, non sarebbe partito; invece è partito lo stesso. Un’altra coincidenza è che a dare il nome all’America e ad accorgersi che non erano le Indie come credeva Colombo, ma un continente nuovo, è stato Amerigo Vespucci, che è nato sull’Arno come Dante. Per cui noi siamo al centro di questa storia, che va da Dante ad Amerigo Vespucci. […]
Dante è il primo che chiede la separazione dei poteri. Cioè Dante chiede alla Chiesa di tenersi il potere spirituale e di lasciare all’imperatore quello temporale. Tanto che precorre Machiavelli, su un altro piano naturalmente. Dante è il primo che ha detto che la Chiesa deve rinunciare al potere temporale, che non è roba sua. Perché lui vedeva così la Chiesa, come la intendeva lui: spirituale, e la politica in mano ai laici e non in mano ai chierici. Per cui è moderno.

– …e la ricaduta sul piano dell’individualità...

Sul piano dell’individualità il fatto che come singolo scrive e pensa per conto suo, senza tener conto di nessuno, cioè nel senso che è lui che sceglie come interpretare le vicende.

– Quindi è già di fatto un’asserzione di individualità.

Sì, e poi è anche politica. Politica nel senso che lui rivendica al cittadino del Comune il fatto di discutere di politica in prima persona, e di dire al papa che stia al suo posto, e all’imperatore che stia al suo posto, separando le due cose… che è un problema ancora attuale, perché la Chiesa ancora interferisce con i laici. […] Ora lui naturalmente si concentra su diverse cose. Una è il fatto che il potere spirituale, s’è già detto, e il potere temporale, devono esser distinti. Questa è una cosa importante. Secondo, siccome il potere era allora universale, per il mondo che conosceva Dante, lui pensava che se il potere della Chiesa fosse diventato esclusivamente spirituale e avesse lasciato ai laici quello temporale (conosceva l’imperatore come laico), la separazione dei poteri avrebbe comportato una maggiore concordia degli uomini. Tra l’altro fa anche l’ipotesi di una possibile pace universale, cioè di un possibile superamento della guerra. Anche in questo anticipa Emanuele Kant.
Per cui i punti sono: separazione dei poteri, universalità del mondo, superamento della guerra. Per la democrazia è troppo presto, però quando risponde: “A Dante Alighieri non si dice cosa deve pensare”, dà un esempio dell’individuo. Per la democrazia è presto, perché il primo movimento è di un secolo dopo, quando c’è il movimento dei Ciompi a Firenze, la prima rivolta operaia, come dice Marx, nel 1378. Questo Dante non poteva prevederlo per quanto vedesse lontano e si muovesse nel suo mondo con delle anticipazioni grandissime, però sempre per quel mondo lì. Non esisteva ancora il problema della democrazia, che doveva ancora nascere in Europa. Se si pensa che ufficialmente è un poeta e non un filosofo, sembra che a livello filosofico abbia dato diversi spunti. Poi si pensi che Machiavelli è il fondatore della politica moderna, nel senso della politica moderna nella sua epoca. Dopo Machiavelli ci si riferisce a Marx, a Gramsci; anche perché Machiavelli, che è stato molto calunniato, dice che il potere non è un’ispirazione del cielo. Il potere è un rapporto di forze. E questo è stato considerato come se fosse colpa sua.

– Machiavelli è quello che diceva che il cittadino che si mobilita vale più di qualunque soldato mercenario, che allora si usavano…

Certo, lui aveva capito queste cose, però è la continuazione di quello che diceva Dante, perché con Machiavelli siamo già nel ‘500, è già tutto un altro discorso. In Italia poi c’è il problema della Chiesa che non rispetta la laicità, è inutile che io lo dica, lo sappiamo tutti. […] Penso che Dante, che io ho letto fin da ragazzo, mi abbia certamente influenzato. Cioè, questo significato penso che si ritrovi soltanto in Dante, in quell’epoca lì: l’individuo che si pone di fronte alle autorità con la sua libertà, non come un suddito, ma come un cittadino. Qui non è più un’applicazione, è un punto di riferimento culturale, nel senso che secondo me, questo è il punto: ogni singolo individuo, con il suo pensiero, ha significato e non può essere messo da parte. Questo ritengo sia la continuazione di Dante. Io incontro una persona rinchiusa in una cella di manicomio che mi dice qualcosa e io sto ad ascoltarla perché voglio sapere qual è il suo pensiero, e posso entrare in contatto direttamente con lei se capisco il suo pensiero. Capire direttamente il pensiero dell’altro, non significa quello che intendono gli psicologi o gli psicanalisti, cioè dare interpretazioni. Se no uno finisce per attribuire agli altri quello che vuole lui. Ma significa parlare con la persona dentro la situazione. Se uno in una cella del manicomio parla con il muro, è chiaro che da una parte lui parla con il muro e dice delle cose, dall’altra lui parla con il muro probabilmente perché non ha nessun altro con cui parlare. Ecco allora che immedesimarsi nella situazione, nel pensiero, significa capire che il pensiero di tutti ha significato, perché a me non interessa dire se quello che mi viene detto è vero o non è vero, come fa lo psichiatra che dice: se è vero va bene, se no è un delirio. A me interessa il significato. Se uno mi dice: “Io sono Carlo Magno”, mi vuole comunicare qualcosa e questo ha significato. Perché lui si paragona a Carlo Magno invece che paragonarsi a un altro? Si paragona a Carlo Magno perché in lui ha visto qualcosa: io devo capire cosa intende, che significato ha. Il pensiero di tutti ha un significato. Dato che si parla di Dante ci ritorno per dire quanto per lui conta l’individuo: nell’Inferno Dante incontra delle persone che si rivolgono a Dio dicendogli: “Tu puoi fare tutto ciò che vuoi, hai tu il potere, io non sono nessuno, ma io non mi sottometterò mai”. Questo c’è nell’Inferno. C’è l’individuo che è rinchiuso per l’eternità all’inferno, però non accetta lo stesso la sottomissione. Questa è una lezione di significato dell’individualismo inteso nel senso vero, come significato di se stessi, non individualismo nel senso di quelli che opprimono gli altri, che non c’entra niente. È una cosa meravigliosa trovare una persona così. Oppure nell’inferno, in fondo tra i traditori, per errore Dante ne calpesta uno e: “Ma come ti permetti? Se fossimo fuori di qui ne pagheresti le conseguenze!” gli dice. Cioè: c’è la dignità dell’individuo che non muore mai, dovunque sia l’individuo, anche se disprezzato e segregato; l’individualità ribelle che mantiene se stessa. Ecco, è questo: il manicomio è l’inferno, dove ci sono individui che fanno tutto il possibile per rivendicare la loro individualità e non vengono ascoltati, perché il problema degli psichiatri non è di non capire il pensiero degli altri, ma di non prenderlo nemmeno in considerazione. Questo è il punto.


1ª parte – segue


(da 'l Gazetingiugno-luglio 2014)

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