giovedì 20 aprile 2017

Giorgio Antonucci, Franco Basaglia e il Trattamento Sanitario Obbligatorio - Intervista



Una fotografia dell’occupazione del manicomio di Colorno. Archivio del Centro studi movimenti, fondo Karin Munk.


Intervista al dott. Antonucci 


Dottor Antonucci, lei ha lavorato anche in collaborazione con Basaglia, ha pubblicato diversi testi ma soprattutto ha lavorato sempre slegando gli utenti psichiatrici dalla contenzione fisica e non effettuando i TSO. E’ quindi possibile lavorare col malessere senza contenzioni fisiche e coercizioni? 

Io ho cominciato proprio in questo modo; ho cominciato a Firenze negli anni 66-67 evitando che le persone fossero ricoverate. Sono partito proprio come principio dal fatto che una persona non deve essere presa con la forza, perché non abbiamo nessun diritto di sequestrare e imprigionare una persona che non ha fatto nessun reato e che è presa di mira soltanto perché si pensa che il suo pensiero sia diverso dal nostro. Perciò io ho sempre sostenuto ed ho cominciato a lavorare così e sostengo ancora attraverso questi anni che non bisogna intervenire con la forza. Nella medicina, in tutta la medicina, la regola è che il medico viene richiesto per una consulenza. Io ho male di stomaco e voglio sapere se questo male di stomaco dipende da un’ulcera, da un tumore, da una gastrite, da un disturbo al fegato, da un disturbo all’intestino e chiamo il medico perché stabilisca da dove derivi questo mio malessere, trovi la malattia e la curi; naturalmente sono io che chiamo il medico per la consulenza, sono io che decido, anche in seguito, se mi faccio o non mi faccio la cura.
Per esempio può accadere che io abbia un tumore alla prostata e, come è successo pure ad un famoso sociologo svizzero, mi propongono di operarmi alla prostata per il tumore, altrimenti la mia vita si accorcia di molto, perché il tumore porta alla morte. Però mi dicono che operandomi al tumore alla prostata la mia vita sessuale sarebbe minacciata se non addirittura abolita; allora, dopo aver consultato il medico, sono io che scelgo se curarmi o non curarmi o posso anche scegliere che tipo di medicina o quale tipo di cura. Fin dall’antichità, e mi riferisco ad Ippocrate, il principio è che il paziente sceglie e il medico lo deve rispettare nella sua integrità e nelle sue scelte. Tutto questo salta per aria col Trattamento Sanitario Obbligatorio, nel senso che il trattamento sanitario obbligatorio permette al medico, in questo caso allo psichiatra, ma anche al medico generico, di decidere che una persona debba essere curata o trattata contro la sua volontà. La cosa grave è che, mentre per delle malattie vere e proprie, cioè alterazioni biologiche oggettive, uno ha giustamente diritto - il corpo è suo - di scegliere da sé quello che vuole fare, per una variazione di pensiero che non è una malattia, perché non ha nessun fondamento di alterazione biologica, si interviene con la forza. Allora questo fa pensare che lo psichiatra non è più un medico che si preoccupa della salute del paziente e di conseguenza anche della sua libertà ma è, appunto, un controllore sociale che con la forza mette da parte le persone il cui difetto è, secondo il suo giudizio, di avere pensieri inquietanti, nel senso che sono pensieri differenti dalle convenzioni. Non è che io non creda alle alterazioni fisiologiche. E’ chiaro che se una persona ha paura, anche il suo corpo ha paura. Così se è innamorata o crede di essere indemoniata, etc. Ma trasformare un’alterazione fisiologica in alterazione patologica nel senso medico del termine, cioè di genesi organica o bisogno di intervento dal punto di vista organico è un falso, peraltro spacciato per scientifico. Allora io come medico, e mi sembra una cosa regolare, ho ritenuto che si doveva rispettare la volontà del paziente e ancora come medico, come del resto ha detto già Freud prima di me, so che quando mi occupo di stati emotivi e di variazioni di pensiero, non mi occupo più di malattie ma mi occupo, appunto, della biografia della persona con tutte le sue contraddizioni. Lo ha detto Freud quando ha fondato la psicoanalisi: “ho smesso di fare il neurologo”; il neurologo si occupa delle malattie del cervello, per esempio il morbo di Alzheimer o l’epilessia, ed ho cominciato a fare il biografo. Allora i punti sono due: la persona deve essere sempre libera di scegliere sulla sua salute e sul suo pensiero e lo psichiatra che prende la persona con la forza non è un medico ma è un controllore sociale e il pensiero deve essere libero; nessuno si deve permettere di interferire nel pensiero degli altri se non con il consenso della persona interessata. Se una persona è preoccupata da alcune paure, non so, ha paura, come è capitato a me alcuni anni fa con un diplomatico del vaticano che aveva paura ad andare in aeroplano, e siccome era diplomatico del vaticano doveva andare in giro per il mondo e doveva superare questo problema, venne da me e se ne discusse insieme, ed io l’aiutai a superare la paura. Questo è legittimo. E’ legittimo che una persona chieda aiuto ad uno specialista oppure ad un esperto e, nel rispetto della sua volontà, l’esperto gli dia quest’aiuto. Però l’intervento obbligatorio è inaccettabile e invece fa parte anche della cosiddetta legge Basaglia, dico cosiddetta perché Basaglia lavorava, e io lo so perché ho lavorato con lui, contro gli internamenti e perciò se lavorava contro gli internamenti non era favorevole a che continuassero a farli, perché altrimenti è inutile abolire i manicomi quando si continua a costruirne di nuovi anche se prendono nomi differenti.


Ci dice qualcosa di più sul suo lavoro con Basaglia?

Io ho lavorato con Basaglia nel 1969 a Gorizia, nel manicomio in cui Basaglia ha messo in discussione tutto quanto, cioè ha messo in discussione l’istituzione per la prima volta al mondo. Basaglia aveva già cominciato quando sono andato io nel ’69, era già avanti nel suo lavoro anche se alcune cose, molte cose, si dovevano fare ancora. Dunque io ho lavorato con lui un periodo breve. Io sono stato chiamato da lui perché quando lavoravo a Firenze per evitare gli internamenti gli telefonai. Siccome io evitavo gli internamenti o cercavo di evitarli e lui cercava di demolire il manicomio ci si accorse di essere complementari. Io evitavo che le persone fossero internate e lui restituiva la libertà a quelli internati prima. Per quello nel ’69 mi ha chiamato a lavorare con lui. E lì si lavorava, appunto, su due punti fondamentali: togliere le costrizioni, cioè togliere le inferriate, i muri, le porte chiuse, le camicie di forza e aprire il dialogo con gli internati. Sono due punti fondamentali. Togliere le costrizioni significa lottare contro il manicomio. Aprire il dialogo con gli internati significa considerare queste persone, persone che possono parlare con noi alla pari perché hanno qualcosa da dire e non sono più considerate, come erano considerati prima, individui il cui pensiero non può essere preso sul serio perché è difettoso. Noi abbiamo lavorato su questo. Tra l’altro io ho lasciato Gorizia pochi mesi dopo perché il professor Jervis, che lavorava con Basaglia, vedendo come io sapevo affrontare le situazioni, mi invitò a Reggio Emilia, dove ho lavorato poi per tre anni anche mobilitando la popolazione contro il manicomio.

Il messaggio che invece abbiamo la sensazione che oggi stia passando, da parte di una certa psichiatria più attenta e democratica, come contrapposizione al ritorno ai manicomi e agli elettroshock che alcuni avanzano, è che la 180 sia una buona legge in assoluto, che Basaglia la volesse e che probabilmente anche i risultati in termine di valutazione degli obiettivi rispetto alla sofferenza siano buoni. Lei cosa pensa di questa cosa?

Io ho parlato di questo anche con Basaglia, poi Basaglia è morto poco tempo dopo il 1978, mi pare un anno dopo; io sapevo già molte cose ma parlando con Pannella del Partito Radicale,  ad un convegno sull’antiproibizionismo a Roma, dove c’ero anche io, mi disse che la nuova legge era stata preparata rapidamente dal Parlamento per evitare il Referendum che i radicali avevano chiesto sull’abolizione dei manicomi. Un referendum che chiedeva agli italiani se erano favorevoli o no all’abolizione dei manicomi. Allora il Parlamento, per paura di questo referendum, come succede molte volte, fece una legge affrettata la quale mantiene il diritto di prendere le persone e portarle in clinica con la forza. Ho già detto prima che Basaglia cercava di abolire gli internamenti e non poteva certo essere favorevole ad una legge che ritiene invece questi internamenti parte della società. Basaglia non era una persona inesperta; se lavorava per superare i manicomi è chiaro che riteneva che si sarebbe dovuto smettere con gli internamenti, altrimenti si fa un lavoro inutile: da una parte si liberano gli internati, dall’altra si continua ad internare. Il lavoro diventa a vuoto. Basaglia non poteva essere favorevole a questa legge perché essere contro i manicomi significa essere contro gli internamenti forzati; il manicomio non è un edificio, gli edifici si possono cambiare; è un criterio: il pensare che si deve obbligare con la forza le persone a cambiare il loro pensiero. Se uno mi dice di essere perseguitato dal KGB i casi sono due: o è vero - e può succedere – e allora è una cosa oggettiva, o non è vero e quello lì si sbaglia. Ma il fatto che uno si sbagli non significa che debba essere forzato ad andare in clinica dove gli fanno l’elettroshock o lo riempiono di psicofarmaci.


Quindi per quanto riguarda l’aspetto normativo lei auspicherebbe un cambiamento nei termini di un’abolizione dei TSO? E, devo presupporre, la chiusura degli OPG?

Si, io sono contrario a qualsiasi coercizione e per questo ho sempre evitato i Trattamenti Sanitari Obbligatori, li ho sempre impediti quando ho potuto. Io sono contrario a qualunque intervento di forza. Io non sto a dire che sono contro le contenzioni perché mi sembra una discussione che non si dovrebbe neanche fare; io ho tolto le camicie di forza a Imola quando sono arrivato, l’ho fatto in tutti i reparti, ma il problema è che non si deve assolutamente intervenire contro la volontà della persona. Questo è il nocciolo del tutto. Perché il manicomio è obbligare le persone a subire i trattamenti; non è un edificio o un altro. È il momento in cui, come medico o come psichiatra, obbligo persone a subire un trattamento, e faccio una violazione della personalità e questo è inaccettabile.
Il nocciolo è il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Quando uno prende la persona con la forza poi finisce probabilmente anche per legarla al letto. Se non la prende con la forza non c’è nessuna necessità di ulteriori interventi coercitivi. 

Appunto, su questo negli ultimi mesi si è sviluppato un dibattito dove il dottor Cassano di Pisa, denunciando il non funzionamento degli psicofarmaci, ripropone pratiche quali l’elettroshock, mentre abbiamo la parte più democratica della psichiatria intestardita sugli psicofarmaci.

Questo è un dilemma sbagliato. Il problema è che non si può modificare il pensiero degli altri con la forza, né con la forza fisica né con la forza chimica né con le scariche elettriche. Il discorso che sto facendo rende l’idea di cosa si tratta. Se io ho un pensiero diverso dal suo e lei me lo vuole modificare, può usare metodi fisici o chimici ed anche psicologici di ricatto ma questa è una cosa che non va fatta; dunque io non voglio né gli psicofarmaci né gli elettroshock. Tra parentesi le dirò che da Basaglia, quando io sono arrivato a Gorizia, c’era ancora l’elettroshock nei reparti delle donne e l’ho tolto io definitivamente. Noi non è che discutiamo su quali sono i mezzi per modificare il pensiero degli altri; noi diciamo che il pensiero di una persona è da affrontarsi soltanto sul piano del dialogo non su quello della forza.

Un’altra cosa che stupisce è che sembrerebbe che, come dimostrano anche alcuni studi ministeriali, nel circuito psichiatrico sia facile entrare ed invece quasi impossibile uscire. Si parla di una tendenza ad una cronicizzazione del malessere se non ad un peggioramento.

Ma se una persona che ha la sua vita, che ha le sue emozioni, che ha i suoi pensieri, che ha i suoi desideri, ed ha anche le sue contraddizioni e le sue angosce, viene presa con la forza e portata in ospedale per modificarla chimicamente, va incontro a peggioramenti del suo quadro psicologico. Quindi dovrebbe essere intuitivo che prendere una persona con la forza, costringerla ad essere diversa da quello che è, è un fatto negativo. Dovrebbero capirlo tutti al volo senza bisogno di tante discussioni. Dovrebbero spiegarmi come è possibile che una persona si senta meglio dopo che è sequestrata contro la sua volontà e sottoposta a trattamenti forzati. 

Si, ma in alcuni circuiti psichiatrici, quali quello riabilitativo, non si entra con la forza.

Il problema è capire che significa “circuito riabilitativo”. O sono persone che sono già state prese con la forza ed hanno subito quel danno e poi sono costrette a stare in questi circuiti o sono persone che vanno volontarie, ammesso che la scelta sia loro e non siano costretti da altri. Allora io non ho niente da dire sulle persone che volontariamente fanno una scelta perché non è quello il problema. Il problema è delle persone che vengono obbligate anche rispetto agli psicofarmaci o altro. Se una persona li prende di sua volontà sono affari suoi. Il problema è quando si costringe la persona a subire quei trattamenti. A me non importa nulla dei circuiti riabilitativi, a me interessa discutere di chi è costretto a sottoporsi a trattamento. Se uno non è costretto è una cosa che non mi riguarda

Come mai, a suo avviso, non si parla più di questioni quali l’omosessualità che, per esempio, circa trenta anni fa scomparve come patologia dai manuali psichiatrici da un giorno all’altro?

Si, io le dico anche come. Gli psichiatri americani che si riuniscono per decidere nel mondo quali sono le malattie mentali e quali non sono - ultimamente, per esempio, ci hanno aggiunto il gioco d’azzardo, faccio per dire - pensavano all’omosessualità maschile e femminile come malattia, pochi anni fa, negli anni cinquanta. Poi uno psichiatra ad una di queste riunioni disse “ma sapete che molti nostri colleghi e colleghe sono omosessuali?”. Allora loro ad alzata di mano, dopo aver discusso, hanno detto che l’omosessualità non è più una malattia.
Dunque, si immagina lei ad un convegno sui tumori se ad alzata di mano si può decidere se il tumore allo stomaco è o non è una malattia? E’ una cosa ridicola. Allora questo dimostra che non si tratta di malattia ma si tratta di pregiudizi sociali i quali si possono cambiare con una discussione. Non si tratta di malattie e questo è molto importante. Vorrei che quando scrivete la mia intervista, non chiamate mai a nome mio i “malati“ perché è una falsità; io li chiamo le persone, o i pazienti se sono in rapporto come medico, o i ricoverati se sono in clinica ma mai i malati.
Come sapete io sono d’accordo con Thomas Szasz, che poi sviluppa Freud, che il problema degli stati d’animo, delle emozioni e delle idee non è un problema di medicina; infatti Freud ai medici americani che lo interpellavano, che chiedevano se per fare lo psicoanalista bisogna essere medici o no, rispose di no, perché considerava i problemi psicologici di tutti i tipi non come malattie ma come problemi di contraddizioni individuali e sociali.

Passiamo un attimo alla Puglia, anche se lei non è pugliese. C’è stato un avvenimento che ci ha molto colpito. A fine gennaio 2008 muore a Bari nella clinica psichiatrica del policlinico una donna di ottanta anni portata in TSO, peraltro contenuta anche fisicamente. Che ne pensa lei di un TSO ed una contenzione fisica ad una donna di ottanta anni?

Io penso che qualsiasi TSO e qualsiasi contenzione fisica è un crimine contro la persona, cioè è un’aggressione, tra l’altro un’aggressione grave perché è un’aggressione appoggiata dalla legge. Io ritengo che sia più grave aggredire una persona col consenso della legge che aggredirla per iniziativa personale. Comunque ogni TSO è una forzatura criminale perché è contro la persona che la subisce, contro la sua salute, contro la sua voglia di vivere, contro tutto. Prendere poi con la forza una donna di ottanta anni e metterla in camicia di forza è chiaramente un crimine contro una persona debole che non si può difendere in alcuna maniera. In ogni modo, ripeto, tutti i trattamenti sanitari obbligatori di qualunque persona di qualunque età sono un intervento di violenza appoggiato dalla legge, cosa che io trovo inaccettabile.
Ma non è solo la Puglia, lo fanno a Bologna, lo fanno a Firenze - lo so perché a Firenze mi sono opposto tante volte e mi oppongo ancora - questo non è un problema della Puglia, è un problema non so neanche se di tutta l’Italia, è un problema di tutti i paesi del mondo; li fanno in Cina, li fanno negli Stati Uniti, li fanno in India, per cui il fatto di intervenire con la forza per obbligare una persona a modificare il proprio pensiero con metodi di grave compromissione della personalità è un problema che riguarda tutto il mondo. E’ per questo che io rifiuto decisamente la psichiatria come ideologia che è fondata sulla forza e sulla violazione della personalità degli altri, al contrario di quello che dice spacciandosi come scienza che aiuta le persone a vivere; in realtà non è una scienza e aiuta le persone a perdere la loro libertà.
Il nocciolo del problema, che mi divide anche da quelli di psichiatria democratica, è proprio questo, l’intervento con la forza. Non c’è nessuno di psichiatria democratica che abbia detto “bisogna abolire l’intervento obbligatorio, l’intervento con la forza”. Io tutta la vita dico che bisogna abolire l’intervento di forza perché è questa la fine del manicomio.
E’ una questione volontaria. Lei può andare non solo dallo psichiatra ed accettare volontariamente i farmaci o altre cose, ma può andare dal mago, dal chiromante. Una persona volontaria fa quello che vuole ed è giusto che faccia quello che vuole. Il problema è che nessun cittadino deve essere obbligato a sottoporsi a trattamenti. Questo per me è il problema centrale di tutto. 

Peraltro in Puglia scopriamo che questi TSO, in particolare a questa donna di ottanta anni, partono da CSM di eccellenza, con psichiatri che si dicono democratici e che fanno tanti bei discorsi ai convegni.

Federico Nietzsche, filosofo dell’ottocento, diceva che nessuno è più pericoloso dei benefattori. Dai tempi antichi abbiamo sentito dire tante volte che le persone che intervengono con autorità lo fanno per il bene delle vittime. Persino le SS di Hitler si chiamavano “reparti di protezione”, quasi come se le persone prese da loro fossero prese per proteggerle. L’eugenetica è per non far soffrire le persone e quindi vengono uccise, e così via. Perciò il problema non è il fare il bene degli altri, il problema è rispettare la libertà degli altri. Perché, ripeto, se io sono affetto da tumore e non voglio operarmi, nessuno si sognerebbe di obbligarmi a farlo con la forza per il mio bene, devono rispettare la mia volontà.

Un’altra questione di cui si è discusso molto in Puglia in questi ultimi mesi è stata quella delle riabilitative psichiatriche. Spesso sentiamo dire frasi del tipo “bisogna dare voce agli utenti” ma si nascondono i TSO, le contenzioni, i costi economici, il fatto che molti utenti finiscono per passare spesso una vita intera in quelle strutture, etc.

Ma non c’è niente da riabilitare. C’è soltanto da cominciare a rispettare il pensiero degli altri, non avendo la presunzione che i nostri pregiudizi sono la ragione e i pensieri divergenti sono il non ragionare. Il nostro mondo è fatto di una infinità di punti di vista. Poi dipende dal potere. Perché è chiaro che una donna che sta facendo una vita difficile in famiglia e sul lavoro, ad un certo punto disperata dice di sentirsi male come se fosse indemoniata e la portano in manicomio; se invece il vescovo dice che il diavolo esiste tutti stanno a sentire e i filosofi ci imbastiscono anche una discussione. Per cui non è l’idea inverosimile che conta, dipende da chi la esprime. Chi ha potere può dire le cose meno dimostrabili, appunto. Tutte le religioni sono fondate, -che uno sia religioso o no, questo non importa,- su verità indimostrabili. Per cui se uno ha le proprie verità personali, ha diritto di averle come hanno diritto di averle i vescovi.

Peraltro una convinzione non fondata su verità dimostrabile, come dice lei, se condivisa non produce nel soggetto sofferenza, o almeno in parte. Questo dovrebbe far pensare rispetto a come, non dico la piena condivisione, ma senz’altro la negazione del pensiero, anche con la forza, non può essere una risposta a quella sofferenza.

Il problema è che se una persona vuole un aiuto lo chiede lei, non bisogna imporre niente. Per cui il problema non è neanche della sofferenza o no. A parte che la sofferenza è fisiologica perché il dolore fisico serve per proteggerci dalle lesioni, nel senso che se io fossi senza il dolore fisico non potrei accorgermi delle eventuali lesioni che mi colpiscono; il dolore morale è quello che corrisponde a certe situazioni negative nei riguardi della nostra vita. Per cui il dolore è fisiologico, non è, come dicono gli psichiatri, una malattia. Una persona decide da sé quali sono le cose che vuole fare e quali sono le cose che non vuole fare per i propri problemi di dolore fisico e psicologico, non devono decidere gli altri. E poi naturalmente è una cosa soggettiva. Insomma, se io dico che mi sento perseguitato questo è il segnale di una mia situazione ma non è detto necessariamente che sia un dolore o una sofferenza. 


Cosa c’è, a suo avviso, dietro il mito della pericolosità che si costruisce attorno all’utente psichiatrico, al cosiddetto pazzo?

Su questo io posso rispondere che quando sono arrivato ad Imola nel 1972 ho chiesto il reparto ritenuto dagli specialisti lì presenti più pericoloso, cioè il reparto 14 delle donne agitate ritenute più pericolose; l’ho aperto in un mese ed io sono andato con alcune di queste persone al Parlamento Europeo, sono stato dal Papa Giovanni Paolo II, che ci ha accolto in prima fila; non mi è mai successo neanche di avere uno graffio, nonostante quelle persone fossero state trattate con la camicia di forza e con la reclusione; e invece sono stato steso per terra a pugni da un infermiere che non era d’accordo con il mio lavoro. Per cui la pericolosità è un mito. Le persone che hanno a che fare con gli psichiatri, a parte le contraddizioni in cui si trovano, sono persone come le altre e può succedere che facciano anche dei reati come le altre. Soltanto che se il reato è fatto da uno che non è mai stato dallo psichiatra non si dice niente. Se uno è stato dallo psichiatra si dice che lo ha fatto perché era particolarmente pericoloso. Questo è simile alla faccenda che succede ora: se il reato lo fa un italiano è differente da quello che fa un albanese o un rumeno.
Comunque il disagio e il malessere rimangono un grosso problema individuale e sociale. Si. Il disagio e il malessere devono essere affrontati con il dialogo e la capacità di capire, come ha insegnato Freud. Freud discuteva con le persone, ora si può essere d’accordo o no con le teorie di Freud, ma il fatto che il disagio si affronti con il dialogo lo ha detto Freud e vale una volta per tutte. Tutti gli altri strumenti sono sbagliati e controproducenti, l’unico strumento è il dialogo. Ripeto, non l’ha detto Thomas Szas, non l’ho detto io, l’ha detto Freud che non a caso è ritenuto il fondatore della psicologia moderna.

Quale consiglio darebbe lei ad una persona oggi in difficoltà che si rivolge ad un servizio? Il consiglio che dò io è quello di provare attraverso il dialogo con persone intelligenti e capaci di mettersi nello stato d’animo degli altri; ci vogliono persone di questo tipo, che non hanno nessuna intenzione di fare forzature. E quale consiglio darebbe ad una famiglia in difficoltà con un parente? 

Io le famiglie le ho aiutate insieme ai pazienti cominciando a lavorare nel ’66 qui a Firenze. Per esempio, quando ci fu il 4 novembre l’alluvione, mi chiamò la madre di un uomo che era un artigiano, che sotto l’alluvione aveva perduto la sua bottega, il suo negozio, e girava intorno alla tavola pensando di essere un anticristo che poteva essere pericoloso anche per la madre e per la sorella. Io andai da lui, ci ho passato molto tempo, ho risolto il problema, lui non ha mai visto uno psichiatra e ha ripreso a vivere la sua vita. La sua crisi di angoscia dipendeva dal disastro che aveva subito e poi da alcuni problemi personali che abbiamo tutti. Perciò se si aiuta una persona a riprendersi si aiuta anche la famiglia; perché i casi sono due: o la famiglia ci tiene a quella persona e non la vuol perdere, quindi accetta che qualcuno aiuti gli uni e gli altri e non la manda in psichiatria sapendo che gliela rimandano rincitrullita o, se la famiglia se ne vuole liberare non credo che le si debba andare dietro.
Per cui, comunque la si rigiri, vale anche per le famiglie se sono in buona fede, e vogliono il bene del loro congiunto; è chiaro che una madre che vuol bene al figlio non credo che sia soddisfatta di vederlo prendere dai carabinieri e portarlo in manicomio.

Peraltro anni fa si diceva “la libertà è terapeutica” e probabilmente non era solo uno slogan.

Si appunto. Non esiste salute psicologica senza la libertà perché quando non abbiamo la libertà delle nostre emozioni, delle nostre idee, si sta male.

Ma spesso il conflitto è anche con le famiglie. Un esempio, forse un po’ esasperato, sulla complessità sociale del problema. Giovanna, utente psichiatrica da anni, ha subito violenze o molestie da parte del padre in famiglia, motivo principale per cui ha iniziato a soffrire. Lei è definita “malata”, il padre probabilmente parla con gli psichiatri ignari della figlia e di come aiutarla nel suo eventuale percorso di guarigione.

Se la vittima, invece che difenderla, si considera una persona difettosa mi sembra che siamo lontani dalla realtà. Voglio dire, se un padre insidia o violenta la figlia, questo è uno stupro ed è anche un reato e ne risponderà il padre, ma non vedo perché la figlia debba essere sottoposta a trattamenti psichiatrici.

Negli ultimi anni sono cambiate molte cose; la sinistra e le idee di rivoluzione sono scomparse, c’è il processo di globalizzazione, si sta avendo una deriva strana probabilmente a destra. Questa cosa comporterà, a suo avviso, un rafforzamento della logica psichiatrica? 

Si. Perché in un mondo come quello attuale in cui si ritiene che l’individuo non conta niente e tutto quanto si risolve con la repressione è il mondo più adatto per un’intensificazione dei metodi psichiatrici.
Peraltro molte stime di studi psichiatrici danno tra pochi anni, nel 2020, una percentuale altissima di popolazione adulta, quasi un quarto, “malata” in vari periodi della propria vita.
Sa, gli psichiatri siccome decidono loro chi è malato e chi non è malato, naturalmente più hanno potere più aumentano. Non è come la malattia vera e propria che viene per determinate cause precise, non so, per esempio i tumori vengono per le radiazioni, etc.; voglio dire che se per esempio gli psichiatri decidono che gli omosessuali sono malati di mente la popolazione dei malati di mente aumenta, se decidono che non lo sono diminuisce. Per cui, che l’umanità è in una condizione di difficoltà lo sappiamo, ma i malati definiti dagli psichiatri aumentano e diminuiscono a seconda del loro arbitrio. Perché non sono malattie oggettive ma sono invenzioni derivate dai loro pregiudizi e dai pregiudizi della società.
Ma sono stime così alte che minano un’ipotesi anche di società democratica. Si. Ma infatti si sta andando in generale verso la distruzione della democrazia. Individui che vogliono controllare il pensiero degli altri, non sono democratici, dovunque vivano. Non importa se sono nella vecchia Unione Sovietica o negli Stati Uniti; come dice Szasz “lo stato terapeutico, cioè lo stato che usa la medicina per controllare i cittadini è dovunque uno stato che tende ad essere totalitario”.

C’è la questione dei bambini diagnosticati con iperattivismo, si scoprono fuori dai cpt (centri di permanenza per gli immigrati) bidoni di psicofarmaci, spesso i senza tetto giustamente inquieti vengono portati nei centri di salute mentale, fino ad arrivare a questioni quali quella dell’ottantenne, cioè anziani in difficoltà. Possiamo dire, parlando di soggetti deboli, che un’idea quasi di eugenetica si stia diffondendo? 

Certamente. La psichiatria è nata insieme al razzismo, nelle stesse persone. Faccio per dire, per esempio Lombroso, ma potrei dire tanti altri, Nordau in Germania sostenitore dell’eugenetica, il fatto che bisogna selezionare le persone per fare popoli più forti e più sani. Il razzismo è il fatto di considerare certi popoli nel loro complesso biologicamente o spiritualmente inferiori; e la psichiatria certi individui biologicamente o spiritualmente inferiori. Il concetto è lo stesso. Attraverso queste due strade si va verso il regime totalitario e la democrazia muore. E naturalmente i cpt sono campi di concentramento. Anche il fatto di giudicare una persona non per quello che fa ma per quello che potrebbe fare, per esempio il rumeno che potrebbe essere più pericoloso dell’albanese o dell’italiano, sono giudizi sulle possibilità di fare dei reati, cioè che richiamano Hitler.

La ringraziamo dottore.

Grazie a voi. Mi raccomando quando io parlo delle persone non fate mai scrivere il “malato“, a meno che non sia uno che ha la polmonite; deve essere la persona, il paziente, il ricoverato ma mai il malato.
Intervista a cura di:
Ezio Catacchio (Associazione “Altre Ragioni” - Bari)
Francesco De Martino (Quotidiano di Bari)

Intervista al dott. Giorgio Antonucci, 25.06.2008

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