venerdì 1 marzo 2013

COMUNICATO STAMPA DELLʼASSOCIAZIONE DALLE ANDE AGLI APPENNINI

COMUNICATO STAMPA DELLʼASSOCIAZIONE DALLE ANDE AGLI APPENNINI
Via Pier Luigi da Palestrina 35, Milano – Tel. Fax. 02 6698 7479
ALCUNE DOMANDE DELL’ASSOCIAZIONE DALLE ANDE AGLI APPENNINI
AL PROCURATORE CAPO DR. BRUTI LIBERATI
AI 5 CANDIDATI AL GOVERNO DELLA LOMBARDIA
...
Egregio Procuratore Capo, Dott. Bruti Liberati,
mi chiamo Giorgio Pompa e il 13 dicembre 2010, quando facevo ancora parte del Telefono Viola di
Milano, ho firmato un esposto alla Procura di Milano e una sua successiva integrazione il 22 marzo
2011; il numero del procedimento è 7756/11-I .

L’esposto riguarda gravissimi abusi su pazienti psichiatrici avvenuti nei tre reparti psichiatrici Grossoni di Niguarda, ed è stato firmato anche da una delle vittime di abuso e da alcuni familiari delle altre vittime di abuso.

I 18 ‘fatti’ riportati nell’esposto riguardano due pazienti morti mentre, secondo voci di operatori,
erano legati mani e piedi al loro letto di contenzione, un paziente che ha perso l’uso delle braccia a
causa della contenzione fisica con il manicomiale ‘spallaccio’, una paziente che ha perso l’uso delle
gambe a causa della prolungata contenzione fisica, altri 3 pazienti che sono stati sottoposti a
contenzioni fisiche del tutto al di fuori degli stessi protocolli dell’ospedale.
Due altri pazienti sono morti soffocati dal cibo che stavano mangiando e altri 3 si sono suicidati.
Un ultimo ‘fatto’ riguarda la previsione, nei protocolli di Niguarda, dell’uso del rudimentale
strumento di tortura del ‘lenzuolo arrotolato’, detto ‘spallaccio’.

In questi 26 mesi l’ufficio del Tribunale delegato a dare informazioni sui procedimenti, alla
periodiche richieste di informazioni sull’esposto presentato ha continuato a ripetere che esso si
trova nella fase delle indagini preliminari: fino all’estate 2012 con il PM D.sa Maura Ripamonti,
sostituita dopo di allora e fino ad oggi, dal Dott. Antonio D’Alessio.
Noi non conosciamo i motivi per i quali, dopo 1 anno e mezzo di indagini preliminari, la D.sa
Ripamonti sia stata sostituita.
Crediamo, tuttavia, che i firmatari dell’esposto, e con loro l’intera opinione pubblica milanese,
abbiano il diritto di essere informati su tutti quegli eventi di una certa importanza che interagiscono
con l’indagine sugli abusi nei reparti psichiatrici di Niguarda, ovvero con una indagine di grande
rilevanza per la città di Milano.

Per questo, Signor Procuratore Capo, Le chiediamo:
“Perchè la D.sa Ripamonti è stata sostituita?”
Sono passati oltre 26 mesi dalla presentazione della prima parte dell’esposto sugli abusi nei reparti
psichiatrici di Niguarda.
E’ passato un tempo molto lungo.
Nell’esposto 12 dei 18 ‘fatti’ denunciati hanno riguardato la morte di 12 pazienti, e altri 5 ‘fatti’
hanno riguardato, invece, pazienti vittime di contenzioni fisiche illegittime.
Ebbene lo scorso mese di ottobre, purtroppo, questo triste bilancio è cambiato.
Il ‘fatto’ n° 7 dell’esposto riguarda la lunga contenzione alla quale era stato sottoposto Andrea R. al
Grossoni 2 nell’estate del 2010, subito dopo il suo medico di fiducia, D.sa Nicoletta Calchi Novati,
era stata sospesa dal lavoro a causa del primo dei 6 provvedimenti disciplinari consecutivi che
l’Azienda Ospedaliera Ca’ Granda di Niguarda le ha inflitto.
Da allora Andrea R. non è stato più ricoverato al Grossoni 2.
Per due anni è stato un acclamato e molto amato giocatore di una squadra di calcio semiprofessionista, riuscendo a conquistare anche il titolo di capocannoniere del suo girone.

Per due anni è vissuto nel costante timore di essere di nuovo ricoverato al Grossoni 2 con le
medesime modalità del ricovero del 2010.
Il 10 ottobre 2012 Andrea, all’età di 26 anni, si è tolto la vita, buttandosi nel vuoto dal 7° piano
della sua casa.
In sua memoria i suoi amici del quartiere hanno dipinto un grande, bellissimo murales nel portico
della sua casa, un murales che lo ritrae in una delle sue travolgenti azioni agonistiche.

Egregio Dr. Bruti Liberati
In questi mesi un largo movimento di opinione, con sempre maggior forza e incisività, sta
denunciando le inaccettabili condizioni in cui sono costretti a vivere i carcerati nelle sovraffollate
prigioni italiane. Un valoroso movimento, che con fatica, cerca di rompere il muro di indifferenza
che per anni ha celato all’opinione pubblica le inaccettabili condizioni della vita carceraria.
Un segnale di allarme per tale situazione è costituito dal grande numero di carcerati che ogni anno
si tolgono la vita.
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha recentemente emesso una sentenza di condanna
dell’Italia per le condizioni di sovraffollamento esistenti nelle carceri italiane.
Le istituzioni più sensibili, tra le quali la stessa Procura di Milano, si stanno ponendo il problema di
cosa fare per cercare di ridurre tale sovraffollamento, per cercare di aumentare il tasso di vivibilità
nelle prigioni italiane.

Noi temiamo, tuttavia, che questo stesso movimento, i giornalisti italiani, gli stessi giudici della
Procura milanese ignorino quasi completamente gli effetti di un’altra (misconosciuta ed immensa)
realtà di inaccettabile sofferenza: quella della grande moltitudine dei pazienti psichiatrici.
Se il numero dei suicidi potesse essere una possibile chiave di comprensione del tasso di invivibilità
a cui è costretta una determinata categoria di persone, ebbene allora il numero grandissimo di
pazienti psichiatrici che ogni anno si tolgono la vita nei reparti ospedalieri, nei manicomi criminali,
nelle comunità residenziali, nelle comunità alloggio, nelle loro case, dovrebbe fare insorgere
l’opinione pubblica come un sol uomo contro una tale vera e propria calamità.
Ciò, però, non avviene affatto.
In Italia è in atto da tempo una vasta e capillare operazione di occultamento da parte delle istituzioni
psichiatriche della realtà di questo autentico e silenzioso ‘suicidio di massa’.
Negli SPDC come quelli di Niguarda se un paziente si toglie la vita e non ha parenti, letteralmente
scompare, insieme al suo cadavere, dai registri e dagli archivi ospedalieri: come nel caso del
suicidio del signore cingalese che viene descritto nel fatto n. 15 dell’esposto:

FATTO n. 15
Riguardante il suicidio di un signore dello Sri Lanka.

Nei primi giorni dellʼaprile 2010 un signore cingalese dello Sri Lanka, di circa 30 anni, è ricoverato al
Grossoni 1.
Il giorno 5 aprile 2010, alle 23.15, si impicca allʼinterno del reparto.
Nel Portale dei reparti non esiste nessuna documentazione relativa a questo ricovero.
La salma del suicida non è mai passata nella camera mortuaria dellʼOspedale Niguarda.
Se, invece, la persona suicida ha parenti, allora si esercitano forti pressioni su di loro per evitare
denunce.
E altrettanto avviene nelle varie articolazioni della psichiatria territoriale.
Il risultato è che il suicidio dei pazienti psichiatrici, pur essendo costituito da grandi numeri,
semplicemente non esiste nelle cronache dei giornali, un impenetrabile silenzio lo circonda.
Nulla di nuovo, potremmo dire.
Per due secoli, infatti, le notizie sui suicidi nei manicomi, come anche sulle innumerevoli vittime
delle terapie-torture, non sono mai riuscite a varcare il portone di ingresso, se non in qualche
occasionale caso. La società ‘civile’ per due secoli ha semplicemente rinunciato ad esercitare lo
stato di diritto all’interno delle mura manicomiali.

Oggi, però, in una realtà totalmente diversa, in cui un grande numero di pazienti psichiatrici viene
‘curato’ in reparti ospedalieri, in numerose piccole comunità sparse nel territorio, in alloggi
convenzionati all’interno di caseggiati comuni, nelle proprie case di abitazione, un tale
occultamento, un tale silenzio appare davvero surreale.
Non saremo certo noi ad esercitarci sulle classificazioni, di cui abbonda la letteratura psichiatrica,
dei tipi di suicidio. A noi basta soltanto capire che quando una persona si toglie la vita, lo fa perchè
ritiene che continuare a viverla non abbia più senso.

Noi crediamo che si debba riflettere sull’insensatezza della vita a cui sono costretti tanti pazienti
psichiatrici che, nonostante le ripetute dichiarazioni sulla fine del manicomio, si trovano a dover
subire di nuovo la ‘disumanizzazione’ implicita in tanta parte delle terapie psichiatriche.
Da una vecchia intervista televisiva di Sergio Zavoli a Franco Basaglia:
ZAVOLI: Professor Basaglia si rimprovera questo ospedale di essere più una denuncia
civile che una proposta psichiatrica.
BASAGLIA: Ah, senz'altro. Io sono perfettamente d'accordo. Vorrei partire con la
provocazione che Lei mi fa dicendomi: “denuncia civile, più che proposta psichiatrica”. Io
non saprei assolutamente proporre niente di psichiatrico in un manicomio tradizionale. In
un ospedale dove i malati sono legati, costretti in una situazione di sudditanza e di cattività
da chi li deve curare, credo che nessuna terapia biologica o psicologica possa dare loro un
giovamento. Non so veramente come ci può essere una possibilità di cura in una
situazione di non comunicazione fra medico e malato.
Queste stesse parole hanno pieno significato anche per tanta parte dell’assistenza psichiatrica
odierna.

Egregio Dr. Bruti Liberati
Non solo i firmatari dell’esposto, ma anche i pazienti psichiatrici milanesi attendono di conoscere
l’esito delle indagini preliminari sull’esposto presentato nel dicembre 2010.
Attendono di sapere se il mondo capovolto della psichiatria di Niguarda, in cui da una parte si cerca
di occultare abusi che offendono la dignità umana dei pazienti e dall’altra si sottopone ad un feroce
mobbing e ad una grottesca persecuzione disciplinare una psichiatra la cui unica colpa è quella di
praticare la vicinanza umana con il paziente, senza la quale l’azione terapeutica si riduce a mero (e
disumanizzante) esercizio di potere, coincide o meno con il mondo reale.
Anche per questo Le chiediamo:
“A che punto si trovano le indagini preliminari in merito all’esposto del 13-12-2010 sui gravissimi
abusi commessi nei 3 reparti psichiatrici di Niguarda?”
...
Egregi candidate e candidati al governo della Lombardia
Sappiamo che una parte importante della Vostra campagna elettorale ha affrontato l’argomento
della sanità nella regione Lombardia.
Alcuni di Voi hanno affermato come in Lombardia il sistema sanitario è eccellente, altri hanno
sottolineato che tale lo è da secoli.
Molte altre persone sostengono che l’Azienda Ospedaliera Ca’ Granda di Niguarda, a sua volta,
rappresenta uno degli esempi più alti di eccellenza tra gli ospedali lombardi.
Ci permettiamo di dissentire, almeno in parte, da quest’ultima considerazione.

Se è vero che la gran parte dei reparti di Niguarda hanno una buona reputazione ospedaliera, e che,
anzi, alcuni di essi sono all’avanguardia della ricerca medica nel proprio campo scientifico, non ci
sentiamo affatto di affermare che l’assistenza psichiatrica elargita dai 3 reparti psichiatrici di
Niguarda sia eccellente,
Né nei 3 reparti Grossoni.
Né negli stessi reparti, quando si chiamavano Origgi.
Né in quelli di oggi che, invece, si chiamano Psichiatria 1, Psichiatria 2 e Psichiatria 3.
(Sembra proprio che sia una costante dell’Azienda Ospedaliera di Niguarda quella di cambiare il
nome ai propri reparti psichiatrici ogni volta che rischiano di danneggiare il buon nome di
Niguarda; come se, ogni tanto, trasparisse una sorta di disagio, di imbarazzo nei confronti del
proprio Dipartimento di Salute Mentale.)



Alcuni dei ‘fatti’ descritti nell’esposto presentato alla Procura di Milano, riguardano gravi abusi
nell’uso della contenzione fisica nei Grossoni.
In questi ultimi anni l’uso di legare mani e piedi i pazienti psichiatrici ad un letto di contenzione è
stato più volte al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica italiana.
Indubbiamente il video che per 92 ore ha documentato la lunga, atroce agonia di Francesco
Mastrogiovanni ha contribuito non poco a svelare quale carico di sofferenze fisiche e psicologiche
si nasconda dietro il diffuso utilizzo di questo metodo di contenzione, anche quando non si arriva
alle estreme conseguenze dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania (o dei reparti Grossoni di
Niguarda).


Non tutti sanno che già nel luglio 2006 il CPT-"The European Commitee for the prevention of
Torture and inhuman or degrading treatment or punishment" (“Il Comitato europeo per la
prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti”), che è un’emanazione
del Consiglio d’Europa, con il capitolo "Misure di contenzione negli Istituti Psichiatrici per adulti"
aveva espresso l’esortazione ai paesi membri di voler intraprendere la strada per l’eliminazione
della contenzione fisica dai reparti psichiatrici, e più in generale, da tutti i luoghi di cura.


La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome del 29 luglio 2010, proprio a partire
dall’intervento del CTP del 2006, ha approvato un documento dal titolo: “Contenzione fisica in
psichiatria: una strategia possibile di prevenzione”.
Il documento, che termina con 7 raccomandazioni alle regioni, tra altre cose, dice:

… è possibile porsi realisticamente lʼobiettivo di eliminare la contenzione fisica dalla pratica psichiatrica

solo nellʼorizzonte di una prevenzione dei comportamenti violenti nei luoghi di cura, grazie al

potenziamento delle buone pratiche per evitarli o uscirne rapidamente.



La conoscenza delle modalità di risposta ambientale ai comportamenti dei pazienti, a causa delle difficoltà
relazionali attribuibili alle loro patologie, ma anche dei conflitti in cui sono coinvolti, possono dare
accesso ad una comprensione delle reazioni violente.

Un elemento però va segnalato ed è costituito dalle difficoltà aggiuntive che derivano dalla
inappropriatezza di molti ricoveri psichiatrici che rende difficile, a volte al limite dellʼimpossibilità, la
gestione della presa in carico. Uno dei meccanismi più comuni di inappropriatezza è la traduzione di ogni
situazione in cui vengono agiti comportamenti violenti in una manifestazione psichiatrica. In tal modo si fa
della psichiatria, e dei suoi luoghi di cura, un contenitore aspecifico destinato a separare,
accantonare, nascondere la violenza.

La Conferenza, poi, passando a citare il rapporto del CTP del 2006, dice
“Il potenziale di abuso e di maltrattamento che lʼuso di mezzi di contenzione comporta resta fonte di
particolare preoccupazione per il CPT. Purtroppo sembra che in molti degli istituti visitati vi sia un
eccessivo ricorso ai mezzi di contenzione".
Il documento stila una graduatoria delle modalità da mettere in atto per far fronte alla violenza del paziente
e in essa figurano i mezzi psicologici (interazione verbale e convinzione) e il trattenere il paziente con le
mani per breve tempo. Tutto questo viene proposto in alternativa alla sedazione chimica e alla
contenzione mediante cinghie.…


Il documento stigmatizza lʼuso della contenzione come punizione ...
Allʼobiezione che è la mancanza di personale che spinge a un aumento del ricorso ai mezzi di contenzione
risponde che è proprio lʼapplicazione dei metodi meccanici, che voglia essere corretta e
appropriata, a richiedere più personale medico e infermieristico di quanto abitualmente disponibile
(N.d.r.: altra cosa è, ovviamente, il colpevole abbandono della persona legata).
La pratica di far durare la contenzione per un periodo superiore a quello strettamente necessario è
considerata un maltrattamento. Viene sottolineato come lʼesperienza di essere contenuto produca
confusione nel paziente.
Quello del CPT è un documento pragmatico, tuttʼaltro che estremista, se giunge ad affermare che "come
regola generale un paziente dovrebbe essere contenuto solo come misura di ultima istanza", ed è tuttavia
una denuncia chiara e inequivocabile della contenzione fisica.

Il percorso parte dallʼesigenza, con un adatta sorveglianza, di ridurre il rischio di abuso sempre in agguato
quando si ha a che fare con prestazioni sanitarie senza il consenso del paziente.
Si qualifica includendo la convinzione che, in ogni caso, la valutazione non possa essere solo sanitaria
trattandosi di una pratica, come ci ricorda il documento del CPT, con un alto potenziale di
degradazione ed umiliazione per il paziente, in contrasto quindi con il principio del rispetto della
dignità umana che dovrebbe vincolare lʼesercizio della medicina.
Lʼargomentazione centrale porta a considerare la contenzione fisica come un intervento
antiterapeutico, che danneggia il paziente anche quando non ne mette a rischio la integrità fisica, e
danneggia la credibilità della psichiatria come scienza terapeutica.
In questa chiave, dando per scontato che con un di più di formazione, di organizzazione e di sorveglianza
si riesca a evitare la violenza superflua, quella che viene praticata per dare un esempio, realizzare
una punizione, o "prevenire" una violenza attesa, la tesi di questo documento è che si debba evitare la
contenzione fisica in ogni situazione, attraverso una strategia che prevenga i comportamenti violenti in
ambienti di cura.
La Conferenza infine enuncia le finalità delle proprie Raccomandazioni alle Regioni:
Le idee forti su cui fondare (una strategia di prevenzione della contenzione fisica) si possono esprimere
come:
- consapevolezza che la prevenzione dei comportamenti violenti è una condizione per rendere efficace
la cura;
- consapevolezza che la contenzione è un atto anti-terapeutico, rende cioè più difficile la cura piuttosto
che facilitarla;
- consapevolezza che rispondere alla violenza con la violenza non paga.

Sarebbe del tutto irrealistico ritenere che la contenzione fisica sia esercitata solo dagli psichiatri. … Gli
ambiti di esercizio in cui andrebbe discusso il problema della legittimità, utilità e opportunità della
contenzione fisica, non sono costituiti solo dagli ospedali, ma anche dalle case di riposo per anziani,
dalle comunità terapeutiche per tossicodipendenti, dagli istituti di ricovero per soggetti con
handicap connessi a patologie congenite o precocemente acquisite.…
Si ritiene … che un miglioramento della pratica assistenziale psichiatrica, caratterizzato da una rinunzia
alla contenzione fisica, sarebbe un forte segnale per porre attenzione al problema anche negli altri ambiti
operativi, sollecitando coloro che vi operano ad analoghe pratiche di trattamento non restrittivo.

Obiettivo finale delle Raccomandazioni è che tutte le Regioni si attivino per introdurre nellʼassistenza
psichiatrica le modificazioni (di conoscenze, di atteggiamenti, di risorse, di gestione, di organizzazione) in
grado di portare al valore zero, in modo stabile e sicuro, il numero delle contenzioni praticate nei Servizi di
Salute Mentale.
Egregi candidate e candidati al governo della Lombardia
in considerazione anche di quanto detto, Vi chiediamo:
“Qualè la Vostra posizione nei confronti della contenzione fisica in psichiatria e negli altri luoghi
di cura lombardi”?...
Egregi candidate e candidati al governo della Lombardia

Nel mese di dicembre 2012 il Direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Niguarda, Dr.
Arcadio Erlicher, è andato in pensione.
L’Azienda Ospedaliera di Niguarda ha preferito non nominare un successore, e attualmente
l’incarico di Direttore è assolto dal Direttore Sanitario, Dott. Giuseppe Genduso.

A Niguarda si pone, pertanto, un problema di nomina della direzione del Dipartimento di Salute
Mentale e, più in generale, anche quello delle direzioni dei 3 reparti psichiatrici.
Crediamo sia legittimo porsi il quesito se, per un ospedale dell’importanza di Niguarda, sia
doveroso proporre una conferma della politica psichiatrica portata aventi negli ultimi anni, e
rappresentata dalle attuali direzioni dei 3 reparti di psichiatria, oppure non sia, invece, più
opportuno proporre una forte discontinuità con il presente e con il recente passato.
Immaginiamo che alcuni di Voi, forse tutti, sottolineeranno come le qualità migliori per dirigere un
reparto psichiatrico ospedaliero o una rete psichiatrica anche territoriale come un DSM siano quelle
che hanno già prodotto buoni risultati. Che per un organismo ospedaliero vuol dire buoni risultati
per la salute dei pazienti, naturalmente.
A questo punto, però, occorre fare una riflessione su di un argomento che a prima vista potrà
sembrare poco pertinente: quello dell’uso appropriato del linguaggio.
Karl Kraus, noto polemista e retore viennese, nella Vienna dei primi decenni del ‘900
instancabilmente denunciava come la corruzione del linguaggio producesse anche la corruzione
della morale e della politica. Tra l’altro Kraus, nel 1910, metteva in guardia contro quei medici che
si servivano del linguaggio della psichiatria per privare la gente della libertà.
A differenza di 40 fanni fa, quando, nella psichiatria manicomiale italiana, una minoranza di
psichiatri umanisti e anticoercitivi si contrapponeva, in nome della difesa della dignità umana dei
pazienti manicomiali, a una larga maggioranza di convinta fede organicista, oggi quest’ultima, pur
avendo cambiato di poco il proprio modo di rapportarsi al paziente psichiatrico, ha assunto di quella
minoranza il lessico: oggi qualsiasi medico pisichiatra pubblico è pronto a dichiarare il proprio
impegno in difesa dei diritti umani e civili dei pazienti psichiatrici; probabilmente anche gli
psichiatri dell’ospedale di San Luca di Vallo della Lucania lo avrebbero fatto, se non si fosse
improvvidamente intromesso quel video di 92 ore.
Oggi se si vuole comprendere quali siano i risultati delle terapie psichiatriche di un reparto
ospedaliero conviene ignorare del tutto le parole e gli scritti dei medici di quel reparto, ed affidarsi
prevalentemente ai giudizi dei cittadini pazienti e dei loro familiari.
Il filosofo Umberto Galimberti ha detto:

“Abbiamo chiuso i manicomi e con questa legge ci siamo lavati la coscienza di una vergogna sociale, ma
non abbiamo fatto un solo passo innanzi nella direzione indicata da Basaglia, perché il rapporto tra medico
e paziente non è diventato un rapporto intersoggettivo, ma è stato ulteriormente oggettivato da quel mix di
statistica e farmacologia che ha imprigionato i folli, liberati dal manicomio, nel chiuso del loro organismo”.
Egregi candidate e candidati al governo della Lombardia
vorremmo porvi le seguenti domande:
- “Quali saranno i criteri che intendete proporre per la nomina dei dirigenti del DSM
dell’Ospedale Niguarda? Ovvero, più in generale, quali saranno i criteri che intendete
proporre per la scelta dei dirigenti dei Dipartimenti di Salute Mentale lombardi?”
- “Tra i criteri che proporrete vi sarà anche quello della trasparenza dei bilanci dei DSM?
Anzi, forse è meglio dire: vi sarà anche quello della ‘pubblicazione’ dei bilanci dei DSM?
- “Sarà possibile, in futuro, conoscere come verranno spesi i finanziamenti regionali a
disposizione del Direttore del DSM di Niguarda e dei primari dei 3 SPDC?”
- “Sarà possibile conoscere quali comunità accreditate a bassa, a media e ad alta protezione
e quali programmi ne usufruiranno?”...


Egregi candidate e candidati al governo della Lombardia

COMUNICATO STAMPA DELLʼASSOCIAZIONE DALLE ANDE AGLI APPENNINI

Via Pier Luigi da Palestrina 35, Milano – Tel. Fax. 02 6698 7479
noi riteniamo inammissibile che, in un grande ospedale, un ricoverato sia costretto a morire in un
letto del reparto psichiatrico: in un qualsiasi normale ospedale ‘civile’ quando una persona
ricoverata in psichiatria comincia a sentirsi male ed versa in gravi condizioni, viene
immediatamente trasportata nei reparti di medicina di urgenza e di rianimazione per le terapie del
caso. In un ospedale grande, moderno ed efficiente come pretende essere Niguarda, anche un solo
caso di morte in un reparto di degenza psichiatrica dovrebbe rappresentare di per sè un caso di
incuria inaccettabile, da analizzare a fondo perchè non possa più ripetersi.
Noi riteniamo inammissibile che l’Azienda Ospedaliera di Niguarda Ca’ Granda non abbia ritenuto
suo dovere svolgere alcuna inchiesta su ognuno dei gravi fatti denunciati nell’esposto.
Noi riteniamo inammissibile che l’Azienda Ospedaliera di Niguarda Ca’ Granda non abbia ritenuto
suo preciso dovere prendere provvedimenti a difesa e a garanzia dell’incolumità e del benessere dei
pazienti ricoverati nei 3 SPDC, dei cittadini ricoverati nei 3 SPDC.
Noi riteniamo che il colmo del paradosso, il capovolgimento insensato di ogni logica e razionalità,
l’Azienda Ospedaliera di Niguarda Ca’ Granda lo abbia raggiunto e superato lasciando che
l’ineffabile Ufficio Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda (UPD) infliggesse
uno, due, tre, quattro, cinque, sei: ben 6 successivi procedimenti disciplinari nei confronti della D.sa
Nicoletta Calchi Novati, per un totale di sanzioni irrogate di 370 (trecentosettanta) giorni di
sospensione dal lavoro!

6 procedimenti disciplinari, tutti con motivazioni risibili.
Il DSM di Niguarda, l’UPD di Niguarda, l’azienda di Niguarda, che non hanno mosso un solo
dito per impedire gli abusi denunciati nell’esposto, con questa persecuzione disciplinare,
probabilmente mai vista prima con questa intensità in nessun altro ospedale italiano, hanno
voluto punire una psichiatra eterodossa che, con la sua capacità di instaurare un profondo
rapporto medico-paziente, ha messo a nudo le modalità coercitive delle terapie psichiatriche
prevalenti nel suo reparto.
La D.sa Calchi, in realtà, rappresenta la punta, coraggiosa, di un iceberg: ci sono altri medici
psichiatri, infermieri, operatori sia nello stesso DSM di Niguarda sia negli altri DSM cittadini, che
condividono la critica alla terapia psichiatrica coercitiva presente nella maggioranza dele strutture
psichiatriche cittadine.
Anche essi sono sottoposti a mobbing, sono demansionati, relegati in ruoli marginali, intimoriti.
Anche essi sperano che alla fine prevalga un modo diverso di rapportarsi ai pazienti psichiatrici.
Egregi candidate e candidati al governo della Lombardia
Vorremmo porvi le ultime, seguenti domande:
- “Ritenete che sia opportuno che il prossimo governatore della Lombardia, il prossimo
assessore regionale alla Sanità promuovano una seria e neutrale indagine sulle vicende del
DSM di Niguarda?”
- “Ritenete che la Regione Lombardia possa prendere dei provvedimenti concreti in difesa
della D.sa Nicoletta Calchi Novati, qualora tale indagine confermasse l’assurdità della
grottesca persecuzione disciplinare nei suoi confronti?”
- “Ritenete che sia opportuno appoggiare tutti coloro che propugnano un rapporto più
‘umano’ della psichiatria pubblica con i pazienti psichiatrici?”
Milano 19 febbraio 2013
In allegato: Lettera della D.sa Calchi Novati

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Dalle Ande agli Appennini: per informazioni tel. 333 463 7025

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