venerdì 2 marzo 2012

Il genocidio 'dimenticato' dei Rom sotto il regime nazista: intervista allo storico Luca Bravi

Il genocidio 'dimenticato' dei Rom sotto il regime nazista: intervista allo storico Luca
Bravi
martedì 21 febbraio 2012


di FLORE MURARD-YOVANOVITCH 



- Perché il genocidio dei Rom sotto il nazismo - il Porrajmos - che fece circa mezzo milione di vittime tra questo antico popolo europeo, è ancora oggi in parte uno sterminio dimenticato?
I Rom continuano oggi a subire stereotipi culturali simili a quelli che hanno subito nel corso della Storia. Nella mentalità comune, lo “zingaro” è ancora percepito come “asociale” o “nomade”, presunte “tare” su cui i nazisti imbastirono la loro teoria della “razza zingara”. La rimozione del genocidio dei Rom ha varie cause, storiografiche ma anche politiche. La Germania post-bellica ha fatto di tutto per cancellare la radice razziale della persecuzione degli “zingari”, derubricandola a una semplice operazione di pubblica sicurezza per via della loro presunta “pericolosità” (mistificando la legislazione nazista). Cioè, ai sopravvissuti rom e sinti furono negati i risarcimenti e questa rimozione durò fino alla fine degli anni ’80, quando alcuni studiosi tedeschi rivalutarono gli archivi del regime nazista che facevano chiari riferimento alla “razza zingara”. Il Porrajmos fu riconosciuto solo nel 1989 dalla Germania come genocidio di stampo razziale. La legge relativa al Giorno della Memoria in Italia attualmente ricorda correttamente la specificità della Shoah ma per adesso non è stato inserito alcun riferimento al Porrajmos (il Parlamento ha ricordato l’internamento dei rom e dei sinti nei campi di concentramento solo il 16 dicembre 2009).
- Gli storici non si sono interessati alla questione della persecuzione dei Rom sotto il Terzo Reich, nemmeno dopo la fine della guerra?


Sì, ma solo tardivamente, tanto in Germania quanto in Italia. Anche tra gli storici erano ed a volte sono presenti clichés sui nomadi pericolosi. Il genocidio dei Rom è inoltre una questione storiografica complessa. Studiare il Porrajmos a fianco della Shoah, senza con questo banalizzare o tanto meno negare la centralità e la specificità di quest’ultima, significa rischiare di entrare in attrito con chi propone l’idea di una unicità della Shoah; (e della sua incomparabilità con qualsiasi altro fatto storico). La mia tesi è che esiste invece un parallelismo nel totale annientamento che i nazisti riservarono a questi due popoli considerati “razzialmente inferiori”; Porrajmos e Shoah sono, purtroppo, tasselli dello stesso evento, l’uno getta luce sull’altro, ed entrambi sono crimini contro l'umanità intera.
- Parallelamente alla “razza ebraica” i nazisti avevano infatti teorizzato una “razza zingara”, anch’essa “geneticamente inferiore” e da eliminare. Ci spiega meglio come questa “classificazione” razzista fu elaborata?
La legislazione nazista si nutre della percezione popolare negativa dello zingaro nomade. Già nel 1935 le Leggi di Norimberga, anche se non li menzionano, furono applicate anche agli “zingari” (termine allora usato per chiamare i rom e i sinti), deprivati dalla loro cittadinanza tedesca. Dal 1936, tutti gli zingari vengono internati nei campi di sosta forzata e poi dal 1938 allontanati e deportati in massa all’Est, in vagoni speciali aggiunti a quelli degli ebrei. In quei campi di concentramento lavorava l’Unità di Igiene Razziale (e di Ricerca biologica) del Reich, diretta dallo psichiatra infantile Robert Ritter, che effettuava pseudo “studi zingari”. Da misurazioni antropometriche sui circa 20.000 internati, la sua squadra faceva derivare delle caratterizzazioni di tipo morale e psichico dell’intero gruppo. Gli “zingari” sarebbero stati razzialmente “inferiori” perché portatori del carattere ereditario dell’“istinto al nomadismo” che causava la loro consequenziale “asocialità”, una “piaga” da sradicare. Nel 1938, sulla base delle ricerche di Ritter, Himmler equipara la Zigeunerfrage, la “questione zingara”, a quella ebraica, per via della radice razziale. Tra il 1938 e il 1942, il Reich pianifica le tappe cruciali per “risolvere” la questione con la stessa logica razionalista del “trattamento speciale” degli ebrei. Prigionia nei campi di concentramento, esecuzioni di massa dalle Einsatzgruppen, ricorso ai gaswagen (camion della morte), fino al decreto del 16 dicembre del 1942 (Decreto di Auschwitz), che progetta la deportazione e lo sterminio di chiunque risultasse di “sangue nomade”. Nel vernichtungslager (campo di sterminio) di Auschwitz prende il via la “soluzione finale” dei 23.000 Rom detenuti e si chiude la fase finale della persecuzione razziale dei Rom, che mirava al loro annientamento totale. I nazisti sterminarono circa mezzo milione di rom e sinti, circa un terzo degli Zingari che vivevano in Europa, l’80% nell’aerea dei paesi occupati.
- Durante tutto il regime nazista, dunque, sugli zingari usati come cavie, furono effettuati atroci sperimenti pseudo-scientifici, particolarmente atroci, dai medici nazisti; come mai questi non furono mai processati?
Su quelle “vite indegne di essere vissute” furono attuati dal 1934 alla fine del regime (in particolare nell’operazione eutanasia T4) mostruosi esperimenti, come sterilizzazione coatta, esperimenti eugenetici e test dei primi gas, su donne e soprattutto bambini zingari. Quegli pseudo-scienziati non solo non vengono processati nella nuova Germania, ma vengono lodati come “esperti zingari” e continuano ad esercitare in cliniche private. Non processarli andava di pari passo con la rimozione ufficiale del genocidio di stampo razziale. Rare sono state le voci di sopravvissuti rom o non furono credute né ascoltate. Inoltre, per alcuni gruppi rom e sinti, non si deve parlare dei morti, perché parlarne sarebbe trattenerli in vita; questa scelta di non raccontare deriva da questo specifico rapporto con la morte, ma questo è vero solo per alcuni gruppi ed è comunque un tratto in evoluzione recentemente. Ma in nessun modo si può accollare la dimenticanza di questa tragedia a quel popolo; bensì a qualcosa di profondamente radicato nella cultura delle società tecnologicamente avanzate nei confronti degli zingari.
- Anche il fascismo italiano istituirà campi di internamento riservati ai Rom?
La ricerca sui campi fascisti è relativamente recente; venne avviata meno di 20 anni fa, quando fu rintracciata la circolare del Ministero dell’Interno dell’11 settembre del 1940 che ordinava il rastrellamento e l’internamento di tutti gli zingari, in vari campi sul territorio italiano. Oggi, grazie alle liste degli internati, sappiamo che furono tre i campi fascisti “riservati” agli zingari (Agnone, oggi in provincia d’Isernia, Tossicia, provincia di Teramo, e Prignano sulla Secchia in provincia di Modena). L’internamento si basava sulla ricerca razziale fascista, elaborata in particolare da Renato Semizzi (un docente di Medicina Sociale) e dal giovane antropologo Guido Landra: lo stesso che elaborò, su indicazione di Mussolini, il manifesto della razza. In alcuni articoli comparsi su La difesa della Razza, i due studiosi affermavano la pericolosità dei rom e dei sinti in relazione alla loro componente psichica deficitaria, un elemento legato anch’esso a connotazioni di stampo razziale che si richiamavano ancora una volta al nomadismo e all’asocialità insiti nel “sangue zingaro”.
- Oggi il “Piano Nomadi” non mostra una sconcertante continuità con questo passato di emarginazione?
Affronto questo tema in "Tra inclusione ed esclusione. Una storia dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia" (Unicopli, 2009), dove studio la continua rieducazione etnica di questa minoranza, dal fascismo all’odierno decreto Sicurezza. Oggi ovviamente i campi rom non sono in sé campi di internamento. Ma continuare a parlare di “campi”, applicare a queste persone gli stessi concetti di asocialità e nomadismo di allora, significa pianificare soluzioni di emarginazione. Fuori dalle città, dai servizi, dai collegamenti: e più sono allontanati, più vengono usati dalla politica come capro espiatorio su cui indirizzare le colpe dei mali della società odierna. Quello che si intendeva allora per “razza”, si sostituisce oggi per la loro presunta “cultura” di gruppo, con ragionamenti che non sono molto diversi dal passato. La soluzione è progettare l’uscita dai ghetti, e progettare, insieme a loro, soluzioni abitative diverse. Loro sono organizzati e auto rappresentati, devono essere coinvolti nei progetti che li riguardano.
- Teme la riapparizione di fenomeni di razzismo anti-Rom, in tutta Europa, che da noi hanno il volto dei tentati pogrom di Ponticelli e Torino?
Ovunque nel continente europeo cresce l’antiziganismo. In Italia, quando un rom o un sinti viene incolpato, prima ancora del processo, il campo viene distrutto o spostato ed esplodono proteste popolari. Nella società serpeggia quella paura del diverso, che si traduce in forme estreme di violenza, i Rom essendo la diversità in assoluto. Considerati, agli occhi della società maggioritaria, non-cittadini da fare vivere ai margini: ogni azione nei loro confronti viene considerata quasi lecita. La nostra cultura dovrebbe finalmente confrontarsi con i Rom e con la rimozione della loro tragedia; la conoscenza del Porrajmos (ancora assente dai manuali scolastici) permetterebbe di combattere l’antiziganismo.
* ricercatore presso Università Telematica L. Da Vinci di Chieti), ha pubblicato, tra gli altri, il volume “Altre tracce sul sentiero per Auschwitz” (Ed. Cisu) 



tratto da: NUOVA AGENZIA RADICALE

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